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Veramente quest’uomo era Figlio di Dio

Croce

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Tra le tante piste di lettura che offre il racconto della passione, quella forse più presente è indicativa si sviluppa tra i verbi potere e volere. Sembra quasi che negli ultimi giorni Gesù ciò che è rivelato nella sua verità più nuda sia proprio la possibilità di fare e in questa capacità la volontà di agire. I due verbi attraversano tutto il racconto dell’evangelista Marco che si apre con la volontà dei sommi sacerdoti e degli scribi di uccidere Gesù. Se questa volontà sia realizzabile, o meno il narratore lo lascia in sospeso perché si concentra subito sul potere, sull’unica cosa che è possibile fare: una donna senza apparente motivo compie un gesto particolare e discusso nei confronti di Gesù, gli versa olio profumato di nardo sulla testa.
Quest’azione apre una disputa tra i presenti che è conclusa da una frase di Gesù che illumina da una parte quello che sta per avvenire dall’altra la possibilità dei presenti, nel testo e al di fuori di esso, di entrare nella passione di Gesù: “Essa ha fatto ciò che era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura”. Sembra quasi che l’unica opera buona che l’uomo possa fare per Gesù durante la passione sia proprio questa: accettare la sua morte e preparare il suo corpo per la sepoltura, l’unica cosa che la volontà umana di Gesù non può fare.
Poiché tutto il racconto è occupato o da azioni contro Gesù o da tentativi falliti di opere buone, all’incapacità umana si sostituiscono la possibilità e la volontà di Gesù legate strettamente al Padre. Il Figlio vuole celebrare la Pasqua perché “nell’ultimo gesto libero” ha la possibilità di spiegare il significato della sua morte per noi e fissarlo per sempre, quello che sta per avvenire, il pastore percosso e il gregge disperso provoca due reazioni differenti: quella di Pietro e degli altri discepoli che, confidando in loro stessi, non vorrebbero scandalizzarsi ma nonostante le buone intenzioni e gli sforzi non ci riescono; e quella di Gesù che sa che può e che vuole in relazione al Padre, “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”.
È Gesù stesso che ci fa capire la relazione che esiste tra il potere e il volere nella passione, tra il potere umano (quello della donna limitato all’unzione del corpo di Gesù) e quello divino (“tutto è possibile a te”). Un potere divino che è strettamente legato alla volontà e quindi alla bontà, anche nel momento in cui il Padre chiede al Figlio di bere il calice si rivela la misericordia di Dio.
È questo uno dei punti cruciali del racconto della passione secondo Marco, il momento in cui Gesù capisce che nonostante lo sforzo di volontà i discepoli sono incapaci di vegliare con Lui, ma che non rimane solo perché il Padre è con Lui. C’è una lacuna significativa nel testo, dopo le parole di Gesù non viene riportata nessuna espressione di Dio Padre, Gesù, invece continua a pregare, apparentemente solo perché i discepoli dormono, ma in realtà in quella preghiera c’è tutta la presenza del Padre che lo aiuta ad accogliere la sua volontà che è espressa nelle parole successive: “Dormite ormai e riposatevi! Basta, è venuta l’ora: ecco il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi e andiamo! Ecco colui che mi tradisce è vicino.” Da questo momento in poi il racconto della passione ci presenta due movimenti: quello umano, espresso da una parte dal potere e dalla volontà di fare del male a Gesù, dall’altra dall’incapacità di poter fare qualcosa a suo favore; e quello divino rivelato nell’apparente silenziosa impotenza di Gesù che subendo il movimento umano accoglie la volontà divina permettendo al centurione di riconoscerlo: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”.