Dobbiamo riconoscere che molte volte preghiamo sì con fede e fervore, ma lo facciamo soprattutto nei momenti di necessità, quando siamo con l’acqua alla gola, pretendendo che Dio risolva i nostri problemi, quasi come con il tocco della bacchetta magica. Difficilmente ci soffermiamo a considerare le meraviglie che il Signore ha operato in ciascuno di noi, non ultime le meraviglie del creato, per le quali non dovremmo mai stancarci di ringraziarlo e benedirlo, riconoscendo in esse non solo la prova della sua esistenza, ma soprattutto il segno del suo paterno amore.
Nella preghiera del Vangelo di oggi, Gesù si rivolge a Dio chiamandolo “Padre”, e insegna anche a noi a usare lo stesso termine quando parliamo con Lui: per questo ha voluto insegnarci il Padre nostro, affinché non dimentichiamo mai che Dio, proprio perché Padre, sa di cosa abbiamo bisogno prima ancora che glielo chiediamo. Come sarebbe diversa la nostra vita quotidiana se vivessimo costantemente in questo rapporto di figliolanza divina, se davvero cioè credessimo che noi siamo suoi figli e quindi non abbiamo da temere nulla, poiché anche nei momenti di prova e di difficoltà Lui non ci abbandona mai, è sempre al nostro fianco per difenderci, proteggerci, custodirci!
Ma qual è il motivo della lode e del ringraziamento da parte di Gesù al Padre? Il Vangelo ce lo dice con chiarezza: “Perché hai nascosto queste cose ai sapienti agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. Non è superfluo ricordare che queste due categorie sono icone che possono farci riflettere molto: la prima, infatti, rappresenta coloro che, forti della propria sapienza e cultura, cercano di ingabbiare Dio dentro le loro speculazioni intellettuali, illudendosi in questo modo di cercare ed esaltare Dio, mentre cercano ed esaltano solo se stessi; i secondi, i piccoli, proprio perché inermi e indifesi, si fidano ciecamente di Dio, a Lui si affidano per farsi condurre dal suo amore e dalla sua grazia, insegando a noi così che questa è la vera sapienza.
Il Vangelo si conclude con un invito e un’esortazione. L’invito è: “Venite a me”. Quanto sono belle queste parole che esprimono accoglienza e desiderio di abbraccio da parte di Dio, quasi a smentire la tentazione di farci sentire Dio sempre distante da noi, poco presente e attento ai nostri bisogni! “Dio è amore”, e l’amore esiste non per condannare e castigare, ma per soprattutto per accogliere, compatire e perdonare. Egli conosce bene il nostro essere “affaticati e oppressi” e comprende i motivi di queste nostre negatività e vorrebbe certamente aiutarci, ed è per questo che, dopo averci rivolto l’invito ad andare a Lui, ci dà un consiglio prezioso: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita”. Comprendiamo che se vogliamo risolvere tutti i nostri problemi non abbiamo che da prendere sul serio la sua Parola e fare quanto da Lui indicatoci.
Solo se sapremo portare il suo giogo, che non è un peso oppressivo e schiacciante, ma un invito all’amore e alla misericordia, e sapremo seguire il suo esempio nella via dell’umiltà e della mitezza, potremo trovare gioia, pace e consolazione ogni momento della nostra vita. Amore, umiltà e mitezza, tre parole chiave per la nostra quotidiana felicità, che ci invitano a far sì che tutta la nostra vita profumi di Cristo e trasformi il mondo con la forza di una fede che illumina, di una speranza che rafforza e di una carità che libera, guarisce e salva. La preghiera dell’odierna colletta sintetizza quanto fin qui detto e ci fa chiedere “di essere miti e umili di cuore, a imitazione di Cristo tuo Figlio, affinché portando con lui il gioco soave della croce, annunziamo al mondo la gioia che viene da Te”.
Monsignor Giacomo D’Anna