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Un nuovo anno nel segno della Madre

Ricordiamo qui la lunga ma feconda disputa che sfociò poi nella definizione del Concilio di Efeso (431) quando, proclamando la Teotokos, si affermò come davvero Dio “nella verginità feconda di Maria ha donato agli uomini i beni della salvezza eterna”, per cui solo Colei che ha donato “l’autore della vita” può aiutarci a comprendere le meraviglie della salvezza. Per comprendere come Maria sia veramente la Madre di Dio dobbiamo ritornare sempre al Vangelo che ci trasmette le verità che sono via al cielo.

Il Vangelo di oggi ci fa tornare alla scena madre del Natale del Signore, ponendo come primi protagonisti i pastori. Che bel “bigliettino da visita”: il Messia potente preannunciato dai profeti fa la scelta preferenziale degli “ultimi”. Così erano considerati i pastori al tempo di Gesù, “periferie esistenziali” della società, li definirebbe papa Francesco, gente senza meriti o dignità, eppure sono essi i veri privilegiati della storia della salvezza, i primi destinatari del Vangelo della gioia. Essi “senza indugio andarono”, senza porsi tante domande, senza chiedersi come mai, senza procrastinare a un altro giorno o a un altro momento, ma subito e quasi di corsa, impazienti per il desiderio di vedere quanto l’angelo aveva detto loro.
E cosa trovano? “Maria, Giuseppe e il bambino adagiato nella mangiatoia”. Prima scena di una storia che avrebbe poi cambiato il futuro e la sorte dell’intera umanità: una famiglia come tante, un piccolo nucleo familiare con un padre, una madre, un figlio. Anche qui non può non colpirci l’estrema povertà di questo primo Natale. Una mangiatoria. Segno che ci troviamo in una stalla, forse una grotta o una capanna, dove vivono delle bestie che lì si nutrono. E nella mangiatoia un po’ di paglia dove deporre Colui che le Scritture avevano definito il Re dei Re, il Dominatore d’Israele, il Principe della pace. Ce ne vuole di fede per credere a un mistero così grande! Ma i pastori videro e credettero, tanto da non poter non raccontare agli altri la gioia sconvolgente di quell’incontro tanto povero quanto ricco, di quella scena tanto umile quanto grande. Ne deriva un grande stupore che contagia “tutti quello che udivano le cose dette dai pastori”. Anche qui sarebbe bello soffermarci su questo atteggiamento che purtroppo nella nostra società del “mordi e fuggi” abbiamo smarrito, per cui non ci meravigliamo più di niente e di nessuno. Eppure tra i personaggi del presepe tradizionale calabrese il pastorello più amato era proprio “u meravigghiatu da grutta”, che veniva rappresentato disteso a terra mezzo addormentato e con la bocca aperta, sbalordito, affascinato per quanto stava accadendo.
Un’ultima parola per Maria, oggi celebrata con il titolo di Madre di Dio. Cosa ci dice il vangelo di lei? “Maria da parte sua custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Ritorna alla ribalta lo spirito di contemplazione, di riflessione, che non è astrazione della realtà o disinteresse per tutto quello che avviene e ci circonda, ma è capacità di mettere al centro del proprio cuore e della propria vita ciò che serve e che salva, racchiuso tutto in un piccolo nome: Gesù, in ebraico “Yeshu’a”, ossia “Dio salva”. Ma cosa può rappresentare un semplice nome? Paolo ne farà un inno magnifico, descrivendolo come il nome che è “al di sopra di ogni altro nome, davanti al quale ogni ginocchio si pieghi e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore” (Fil 2,9). Chiamarlo con la stessa fede della madre Maria significa aver ottenuto già la salvezza.