Gesù informa i suoi discepoli sui segni che precederanno la sua venuta, ma precisa che non è possibile e neppure necessario indicare il giorno e l’ora precisa. Ciò di cui non si può fare a meno è la vigilanza, tempo opportuno per la Chiesa per prepararsi all’incontro con il suo sposo. Il genere letterario della pericope non è ben definito, non si tratta di una parabola e nemmeno di un’allegoria, non è una metafora e neppure una similitudine. Si tratta di una realtà preannunciata che si serve si tutte queste cose per descrivere ma anche per argomentare ciò che avverrà. Descrive la selezione del Figlio dell’uomo, il destino dei credenti e i criteri del giudizio. L’inizio stesso del brano conferma questa logica, nel momento in cui Gesù riprende finalmente il “quando” della domanda non vuole rivelare il giorno e l’ora precisa in cui avverrà l’evento ma cosa accadrà e perché accadrà. Attraverso i criteri del giudizio con cui il Figlio glorificato separerà gli uomini per consegnare il regno agli eletti, indica a ogni fedele la strada da seguire per entrare a far parte dei «benedetti del Padre». Lo stesso “quando”, infatti, ritorna ancora una volta, come domanda sia dei “benedetti” sia dei “maledetti” che cercano di capire il motivo della loro sorte. Il destino finale e la selezione non sono improvvisi né il risultato di una scelta arbitraria, ma il frutto di un percorso relazionale che Gesù ha iniziato a condividere con l’umanità a partire dalla sua incarnazione. Questa assunzione – condivisione permette non solo al Figlio di Dio di condividere la nostra vita con i suoi bisogni, ma nello stesso tempo di porsi come istanza ad ogni uomo che vuole veramente condividere le necessità del fratello. Gli atteggiamenti che vengono indicati nel racconto non sono atti di pura filantropia, in cui l’uomo si commuove per la condizione misera dell’altro uomo e cerca, attraverso la sua volontà e capacità, di porre rimedio con strumenti materiali. Le parole di Gesù non sono una possibilità a chi manca ma a chi pensa di avere, l’opportunità non è quella di porre un rimedio a una misera condizione umana ma di ereditare il regno dei cieli che è stato preparato fin dalla creazione del mondo. Il brano ha un’articolazione molto semplice, c’è un’introduzione contestuale (25,31–32) in cui si descrive la venuta del Figlio dell’uomo e di quello che immediatamente farà; poi c’è una seconda parte in cui si racconta il giudizio e soprattutto vengono spiegati i criteri della selezione (25,33–45), ed infine il brano viene chiuso attraverso una sentenza (25,46). La seconda parte è suddivisa in due ulteriori quadri: l’accoglienza e il rifiuto. In entrambi i casi all’inizio viene descritta la selezione e poi vengono dati i criteri del giudizio. Il contesto di regalità ci rimanda all’inizio del ministero pubblico di Gesù e alle sue prime parole: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Adesso non è più tempo di conversione e nemmeno di sequela, ma è il momento di entrare nel regno preparato fin dalla creazione del mondo. Ma chi può entrare? A chi verrà rivolto questo invito, «Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno»? Con questo invito inizia la seconda parte in cui Gesù sottolinea il motivo della selezione. Questo deve essere colto necessariamente attraverso il “perché”, che insieme al “quando” e “in verità”, lo rivelano progressivamente. Il perché è legato a un gesto di carità che ogni uomo può fare nei confronti del fratello, come dare da mangiare o dare da bere ma che in questo caso viene qualificato perché in quell’uomo il gesto di carità viene fatto a Gesù. Lui che per rendere possibile a noi la visione del Padre si è svuotato, ha anche preso dimora in coloro che hanno uno spazio vuoto creato dal bisogno umano. L’affamato, l’assetato, lo straniero, il senza vestiti e il carcerato non solo sono situazioni concrete ma anche il paradigma teologico del “luogo” dove Gesù deve essere cercato e dove si può incontrare. Gesù si è fatto piccolo far diventare i piccoli grandi, questo è il percorso attraverso il quale Lui è arrivato fino a noi, ma anche il cammino che noi dobbiamo percorrere per condividere la gioia del suo regno. Non è un atto puntuale ma un’opportunità che dura tutta la nostra vita terrena. Quando questa si concluderà non ci sarà più la possibilità di scegliere i piccoli, ma di accettare la sentenza finale: »E se ne andranno questi al supplizio eterno, i giusti alla vita eterna».