{module AddThis}“non si va in chiesa per i sacramenti, ma per perfezionare la fede, altrimenti tutto rimane finalizzato ad una pura strumentalizzazione”.
Prendere parte alla vita della comunità in tutto, collaborare, agire, questo l’invito costante del vescovo alla sua diocesi.
Morosini parte proprio dal primo dei sacramenti: il battesimo!
Ricorda quando il sacerdote accoglie un bambino per il Battesimo, e prima ancora del rito pronuncia le parole: “La comunità ti accoglie”, come a voler dire, “sei figlio di questa chiesa madre, d’ora innanzi cresci nella fede, diventa adulto consapevole, cristiano coerente”.
Infatti, è proprio in virtù del nostro battesimo che noi abbiamo ricevuto il mandato di annunziare il vangelo.
E cos’è questo mandato se non ascoltare e mettere in pratica le parole di Gesù: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo”?
Ma come annunciare? Si chiede e ci chiede Mons. Morosini.
Esistono diverse modalità, la prima è senz’altro quella della trasmissione da persona a persona.
Io, tu, noi, testimoniamo con coraggio la fede che abbiamo ricevuto: in famiglia, nell’ambiente di lavoro, nelle comunità ecclesiali. Questo modo di vivere crea la mentalità cristiana.
È quanto ci ricorda anche Papa Francesco nella Lumen Fidei: “La fede si trasmette, per così dire, per contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma” (37).
L’Enciclica richiama ciascuno alla responsabilità, non delegabile ad altri, di essere donatore di fede, ovunque egli si trovi a vivere.
La liturgia della parola della XXVII domenica del tempo ordinario, secondo Mons. Morosini, dà il senso vero a quello che sarà il cammino del sinodo sulla famiglia.
“Chissà se il Papa si sarà accorto delle letture che avrebbero segnato l’inizio del Sinodo quando scelse la data.
“Maschio e femmina li creò”, annuncia la prima lettura, tratta dal libro della genesi.
Quindi o sto da una parte o sto dall’altra”.
Senza paura, senza vergogna, con coraggio devo aderire alla verità della Sacra Scrittura – dice il Vescovo.
Il vangelo è chiaro.
Spesso nel matrimonio si sente un linguaggio che libera da ogni responsabilità.
“Ti presento il mio compagno, non mio marito. Ti presento la mia compagna, piuttosto che dire mia moglie”.
E cos’è questo modo di esprimersi- afferma ancora Morosini – se non un modo di affermare provvisorietà e precarietà.
“Non si può ammettere che due cattolici vadano a convivere senza sposarsi e poi magari, vengono in un secondo momento a chiedere il Battesimo per i loro figli.
Se i cattolici si fossero dimostrati più fermi nelle loro convinzioni, se avessero dimostrato più coraggio, forse oggi, la crisi della famiglia non sarebbe allo stato attuale”.
Conclude la terza tappa, il nostro padre arcivescovo con un monito e una benedizione: “Fratelli e sorelle vi benedico e vi dico che è tempo di svegliarsi e di annunciare con coraggio il vangelo”.
Gaetana Covelli