Giovanni riporta la storia della delusione e del fallimento più grande del ministero pubblico di Gesù. Ci colpisce come a dubitare, ad essere cioè pervasi da un’irresistibile incredulità, non è più soltanto la gente comune, la folla in genere rappresentata da giudei particolarmente sospettosi e diffidenti, ma persino i discepoli. Essi mormorano, si scandalizzano di Cristo e delle sue parole, soprattutto della sua pretesa di essere “pane vivo disceso dal cielo”. Da qui l’inevitabile conseguenza di una sentenza terribile, racchiusa nell’espressione: “questa parola è troppo dura! Chi può ascoltarla?”. La cosa grave è che non ci si limita solo ad esercitare il fatidico jus murmurandi, ma alla mormorazione aggiungono addirittura l’abbandono, il tirarsi indietro, nonostante tutti i segni e prodigi che Gesù aveva compiuto sotto gli occhi di tutti, persino dei più increduli. Che tristezza, che sofferenza per il cuore di Cristo, mentre Lui desidera attirare tutti a sé, desidera gente che accolga il suo invito a seguirlo, che molti dei discepoli si tirino indietro, facciano l’opposto di quello che possiamo considerare il motivo primo del suo ministero pubblico, la sequela! La stessa sofferenza fu sicuramente condivisa da quei pochi apostoli che continuano a seguirlo, non certamente perché avevano compreso le parole sul pane della vita, anche per loro troppo dure e misteriose. Il discorso di Gesù dovette suscitare anche in loro dubbi e perplessità, in particolare circa la sua origine celeste, la sua provenienza non dalla terra ma dal cielo, eppure rimangono lì, accanto a Lui, con il loro bagaglio di confusione e turbamento, ma non lasciano ancora solo il loro Maestro, restano al suo fianco.
Davanti alla forte provocazione di Cristo: “Volete andarvene anche voi?”, emerge, come parola di ineguagliabile bellezza e tenerezza, la risposta di Pietro che a nome di tutti proclama: “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!”. Ancora una volta Gesù ci ricorda che non c’è nessuno stato di vita, nessuna prova o sofferenza della vita dell’uomo, che Egli non abbia attraversato e patito. Chi di non noi non ha sperimentato nella sua vita, nella professione, nella missione il fallimento, l’insuccesso e persino l’abbandono degli amici più cari? A chi dice: “Quello che ho passato io non lo ha passato nessuno”, Gesù ripete con amore e tenerezza: “No figlio mio, quello che stai passando tu l’ho vissuto prima Io, pur essendo il Figlio di Dio. Come non trovare in queste parole forza e coraggio per andare avanti, per restare accanto a Lui, per continuare con serenità e impegno il nostro servizio apostolico, memori per di più di quella parola di Gesù, che ammonisce severamente che “non c’è nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro che sia adatto per il Regno di Dio” (Lc 9,62)! La conclusione espressa dall’ultima bellissima espressione: “Signore solo tu hai parole di vita eterna!”, è davvero, per chi crede e si fida di Dio, il segreto della felicità della vita cristiana. In quelle due paroline “solo tu”, risiede la scaturigine della nostra forza, la fonte dell’energia e dell’entusiasmo nella sequela, la sorgente di un reiterato impegno di amore e di servizio ai fratelli. Impariamo a dire anche noi come Pietro, nei momenti di sconforto e depressione, di sofferenza e di confusione, di dubbio e di incertezze: “Signore da chi andremo?”. E non smarriamo mai il senso di quel “solo tu”. Sì, solo Tu hai parole di vita eterna, solo Tu hai parole di consolazione e di speranza, parole che guariscono, ristorano, purificano e salvano.