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Servi o manipolatori della verità?

Forse è questo che spinge i familiari di Gesù ad uscire per andare a prenderlo. C’è una negazione di fondo: sia i suoi che gli scribi che compaiono nel racconto non vogliono riconoscere che Lui è questo. I suoi non riescono a capire perché si sta comportando in questo modo, pensano che sia uscito fuori di sé. E Gesù, in effetti, sembra non appartenersi. I suoi bisogni sono passati in secondo piano e non desidera nulla per sé, non ha timore di essere umiliato, calunniato, di spendersi per gli altri dando tutto il suo tempo e la vita per loro, perché niente è più importante, nessun piacere è più appagante della gioia di riportare l’uomo al Padre e il Padre all’uomo. Invece gli scribi non riescono ad accogliere una verità diversa da quella a cui essi erano stati formati e con cui esercitavano il controllo sulle coscienze; la negano, la distorcono pur di non ammetterla, per timore di perdere il loro potere. Addirittura di fronte all’evidenza accusano Gesù di essere posseduto. È questo il senso del peccato contro lo Spirito Santo, che Gesù dichiara imperdonabile: «contestare i segni posti da Gesù a favore del regno, attribuendoli al potere demoniaco, significa misconoscere l’azione di Dio» (Santi Grasso). Ci sono delle volte in cui in fondo, in un angolo nascosto dentro di noi, abbiamo l’intuizione di essere di fronte al mistero di Dio, ma quasi subito abbiamo la capacità di soffocarlo, di disconoscerlo; magari facciamo esperienza della Provvidenza e siamo capaci di dire: ‘no, non è Dio’; oppure percepiamo il sapore della verità e diciamo: ‘no, non è vero’. Godiamo dell’amicizia e neanche ci passa per la testa che è un dono. Siamo come questi scribi a cui Gesù, con una logica spiazzante, fa capire che stanno dicendo un’assurdità e che tale accoglienza mancata è molto più grave di tutti i peccati che potrebbero commettere. Il paradosso che Cristo usa svela la loro durezza di cuore: «come può Satana scacciare Satana?», combattere se stesso senza autodistruggersi? Si è mai visto un esercito che invece di avanzare compatto contro l’avversario comincia a dividersi e a lottare al suo interno? Quale speranza di vittoria ci potrebbe mai essere se si neutralizza da solo? E questo vale anche per noi, per il nostro cuore: se è diviso in se stesso come può farcela? Satana a questo punta! A mettere divisione nel nostro cuore perché così può entrare e prendere possesso di noi. Ecco perché è importante imparare a mettere ordine nella nostra interiorità, a pacificare tutti i pensieri e sentimenti che spesso si affollano e si contrastano, perché se siamo divisi in noi stessi sarà complicato resistere ai colpi del nemico. Ma da soli possiamo? Non credo. Io da solo fatico a mettere ordine nel mio armadio, figuriamoci se riesco a mettere ordine dentro di me! Ho bisogno di aiuto, ho bisogno del vero «uomo forte» che trovi dimora dentro di me e sia libero di agire. Se lo ospito ma poi neanche lo ascolto e lo relego in un angolo, è come se gli legassi mani e piedi e gli mettessi un bavaglio alla bocca. Un’ultima cosa. Sappiamo che quello che hai detto è bello e prezioso per tutti noi, ma non ci sarà rimasta male Maria quando hai detto «chi è mia madre?». Io un po’ ci sarei rimasto male, ma probabilmente Maria non aveva insicurezze, era consapevole e certa del bene che le volevi, del rapporto unico e speciale che c’era tra voi, non aveva bisogno di conferme. Maria, donna del popolo, non abbandona questi parenti, che prima avevano considerato Gesù «fuori di sé» e ora, giunti presso di Lui, stanno fuori, non entrano col maestro in una relazione di ascolto e obbedienza. Non è sufficiente far parte per tradizione familiare di una comunità di fede per essere considerati fratelli di Gesù, ma si diventa suoi intimi facendo la volontà di Dio, non sottraendosi al suo sguardo che, dal centro dell’amore trinitario, raggiunge le nostre periferie esistenziali. Sentiamoci anche noi raggiunti dalla potenza di quello sguardo come i parenti di Gesù e domandiamoci se ci sta a cuore il progetto di Dio per noi o i nostri piani.