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Senza fede nella risurrezione, non si potrebbe donare la vita

È proprio sulla risurrezione che Gesù viene provocato dai sadducei, una setta che non credeva alla vita nell’aldilà, sia perché non se ne fa menzione nei primi cinque libri della Bibbia, i soli da loro ritenuti normativi, sia perché, essendo essi facoltosi, la risurrezione avrebbe comportato per loro un giudizio di condanna per uno stile esistenziale incentrato sul benessere materiale. Viene presentato a Gesù il caso paradossale di una donna che, morto il marito, viene presa in moglie in successione dagli altri sei fratelli perché fosse data una discendenza al primo marito, secondo la legge del levirato: «la donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie?». Notiamo alcune distorsioni in questo ragionamento. Anzitutto una prevalenza del verbo ‘prendere’, come se la donna fosse un oggetto, il che non lascia spazio al dono, senza il quale non è possibile concepire l’amore; dunque non c’è neanche l’ombra dell’amore nel caso presentato, essendo l’unico interesse quello di preservare l’asse ereditario. Ancora, l’inganno maggiore è pensare che la vita futura sia una semplice continuazione di quella terrena, in cui si mantengono intatti i rapporti costruiti quaggiù, con la difficoltà di ritrovare in cielo le stesse ‘magagne’ che non abbiamo saputo risolvere qui. In realtà i sadducei intendono colpire su questo punto i farisei, i quali ritenevano che la vita ultraterrena fosse una rianimazione dei cadaveri, senza un reale salto qualitativo.
Gesù dà una risposta che è rivelatrice di una verità definitiva, andando molto oltre la questione di cui è investito. È proprio dello stile del Maestro non farsi ingabbiare dai ragionamenti tendenziosi, mostrando così una sapienza che non può che venire dalla sua natura divina. Egli richiama infatti la paternità di Dio quale orizzonte di senso di qualsiasi discorso sull’eternità. Il Padre appare indirettamente nella prima parte della risposta, allorché Gesù menziona per tre volte i figli e parla al passivo di coloro che «sono giudicati degni della vita futura», sentenza che può emettere unicamente Dio. Costoro vivono ma in una condizione diversa, simile a quella degli angeli, non essendoci più bisogno dell’incontro sessuale per la trasmissione della vita, poiché in cielo si partecipa senza alcuna mediazione della perenne fecondità dell’esistenza divina. Dunque è del tutto erroneo proiettare le nostre categorie umane al mondo futuro; se l’amore rimane, esso però sarà liberato da ogni imperfezione e, pur nella continuità tra qui e lì, la categoria che può aiutarci a pensare l’eternità è quella del superamento. D’altra parte, Gesù non ha sempre superato le dispute con cui i detrattori cercavano di farlo cadere, indicando l’amore incondizionato per Dio e per il prossimo come soluzione ad ogni problema umano? Nella seconda parte della risposta, Cristo introduce un’altra categoria, presentandola come chiave interpretativa della vita eterna: la relazione. Egli richiama la rivelazione divina a Mosè nel roveto ardente e soprattutto il nome con cui si è fatto conoscere: «il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe». Un Dio che fa alleanza con gli uomini, si lega a loro e, siccome Egli è il Vivente, «tutti vivono per lui», che non può fare a meno di trascinare nella dimensione eterna i figli, depositari della sua promessa di vita.
Questo vangelo ci immette nel cuore del mistero, che da sempre ha affascinato e inquietato il cuore degli uomini. Gesù ha però tracciato la strada per inoltrarsi in un tale percorso: non è la paura o la conoscenza intellettuale, ma la relazione d’amore. Poiché Dio si relaziona a me e mi dà vita amandomi, se io amo qualcuno gli do vita e ricevo dal Signore il rinnovamento della sua promessa di eternità. Oggi vige una mentalità che non alza lo sguardo verso l’infinito. Ma come è possibile credere all’amore senza credere alla risurrezione? Se così fosse, non si potrebbe dare la vita per amore.