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Seminare, il principio dell’amare

Penso che Gesù (con le dovute differenze!) facesse più o meno così quando raccontava le parabole. Può apparire strano che il mare diventi l’ambientazione naturale per narrare una storia che ha al centro la semina, ma Egli sapeva unire mare, terra e cielo in una sintesi mirabile, che aveva al centro il cuore del Padre. È da questo centro d’amore per l’uomo che nasce il desiderio di elargire il seme della Parola del Figlio in maniera abbondante e senza discriminazioni; la caratteristica della semina divina è infatti di donare quasi dando l’impressione di uno spreco: è ovvio che non tutta la semente attecchirà e che non ogni terreno saprà accogliere il seme. Eppure, caparbiamente, il seme viene sparso senza sosta. Qui scorgiamo una logica divina del tutto differente dalla nostra, calcolatrice e misurata; noi mai sprecheremmo tempo ed energie con chi sappiamo che non farà tesoro del nostro impegno, anzi lo disperderà.
La parabola spiega lucidamente l’esito dell’annuncio della Parola nel terreno particolarissimo del cuore umano. La strada rappresenta il luogo della provvisorietà dell’ascolto, che non è sufficiente o è mancante perché la testa è piena delle proprie presunzioni. Chi ad esempio ritiene di essere giusto, non si lascerà scalfire dalla forza trasformante della Parola; chi si sente perennemente inadeguato, penserà che la Parola stessa sia incapace di produrre un effetto benefico nella propria vita. Il terreno sassoso è il luogo dell’ascolto poco profondo, che non ha un riverbero interiore, non scava dentro e non mette radici, per cui si soccombe dinanzi al timore delle conseguenze che il vangelo determina nella vita. La Parola di Dio muove l’esistenza, provoca, ma se non si è capaci di assumersi il rischio dell’adesione ad essa, di pagare di persona il prezzo del proprio discepolato, essa scompare dal cuore umano.
I rovi sono le potenze che con prepotenza si impongono alla coscienza del soggetto, i vizi di cui tanti sono vittima, avendo perso la libertà di dire un sì pieno al bene, per cui la Parola risulta soffocata. Quanti persone appaiono sensibilissime ai richiami di verità, giustizia e condivisione che il vangelo suscita, eppure non riescono a scrollarsi di dosso la patina di sensualità o di insicurezza che li accompagna dall’adolescenza e impediscono alla Parola di renderli persone nuove e pronte alle sollecitazioni dello Spirito. Cosa dobbiamo fare per diventare terreno accogliente? Forse il segreto sta nel non fare, non alterare la bontà e fecondità originarie di cui il Creatore ci ha dotati, non inquinare col peccato il terreno. Anche se il cuore è in grado di produrre tante cose, l’importante è però che si generino frutti secondo il cuore del Padre. E non è neanche essenziale che il frutto sia sovrabbondante, quanto piuttosto che il movimento della vita sia avviato. Non so cosa la veglia alle stelle genererà nella vita dei ragazzi, però so che per una sera hanno preso le distanze dai giochi online, dall’urgenza di raccogliere più ‘mi piace’ possibili sui social, forse da qualche superalcolico rifilato durante una festa estiva. La semina nel cuore della gente, soprattutto dei giovani, è un investimento a fondo perduto, ma ci sono alleati il cielo, la terra e il mare, le sterpaglie, le cicale e persino le casse acustiche. In altre parole, dobbiamo ricordarci che Dio ci ha creati pienamente ricettivi al fascino e alla forza della sua Parola; si tratta di assecondare in ciascuno tale inclinazione naturale e suscitare il desiderio dei frutti: ecco, i frutti che il vangelo produce in noi non hanno nulla a che fare con ciò che l’uomo si dà senza la grazia del Signore. I frutti della Parola aprono il cuore, fanno vedere ogni cosa nella luce del Risorto, ci gridano che esiste una riserva d’amore anche quando il primo raccolto è stato fallimentare. La Parola ci rende generativi nell’amore!