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Se l’ascolterai, sarà Lui a dirti chi sei

Vi è però un’angoscia più profonda in Giovanni, che mette in discussione la missione e la sua stessa identità, avendo egli fatto del ministero profetico a cui è stato chiamato l’unica ragione di vita. È davvero Gesù il Messia? La domanda nasce dalla constatazione che la vittoria dei giusti, predicata da Giovanni quale segno inequivocabile della venuta del Cristo, non si è verificata e il male sembra prevalere; addirittura Gesù si mostra indulgente con i peccatori, annunciando il perdono e facendosi loro commensale. A noi sarebbe bastato un semplice sospetto per bollare quel maestro come uno che ha fallito e tradito la sua missione; il Battista invece gira a Gesù il dubbio che lo lacera, non concepisce una soluzione al di fuori di un dialogo vivo e sincero con Colui sul quale avevo visto scendere lo Spirito. La grandezza di Giovanni è che, pur dubitando dell’uomo, si fida dello Spirito di Dio e vuole percepirne il soffio di verità. La risposta di Gesù è un invito a leggere i segni concreti del suo passaggio tra la gente. Egli, citando il profeta Isaia, enumera i miracoli compiuti: vedere, camminare, udire, essere purificati e addirittura risorgere da morte denotano una guarigione che abbraccia tutte le dimensioni dell’uomo, mentre l’annuncio del Vangelo ai poveri segna l’inizio della salvezza. Quando infatti la Parola giunge fino al cuore e trova un cuore povero, non appesantito dalla brama di possesso, lì è l’avvento del regno; quando una persona non tende più a collocarsi dalla parte dei giusti ma giudica se stessa come mancante di perfezioni fisiche e morali, lì si celebra l’incontro con Dio. Il Signore non è venuto a fare un mondo di perfetti, ma si prende cura del mondo che c’è, orientandolo verso la perfezione dell’amore. Segue la proclamazione della decima beatitudine in Matteo, riferita a chi non trova in Gesù «motivo di scandalo». È vero, può scandalizzare una mentalità che non cede alle soluzioni sommarie del giustizialismo, poiché il Figlio si è incarnato per stare vicino ad ogni carne. Egli ‘dà a ciascuno il suo’, superando però le istanze della giustizia umana e approdando inspiegabilmente alla misericordia; la novità che Cristo porta, infatti, rende ogni sua azione imprevedibile in quanto espressiva di quell’Origine che l’uomo non potrà mai comprendere e manipolare. Come è consolante sapere che Gesù non finirà mai di stupirci per la sua strenua difesa dell’uomo; più l’uomo è indifendibile, più Egli ne prende le parti!
Gesù pronuncia quindi l’elogio del Battista, evidenziando prima di tutto ciò che egli non è. Non è un uomo in balia delle mode o voluttà del momento come «una canna sbattuta dal vento»; non è uno potente né per ricchezza né per ruolo, ma la sua forza sta tutta nell’essere messaggero di un Altro. È il più grande profeta per essere stato voce della Parola, ma rimane sulla soglia del regno: chi in Gesù entra nel regno è più grande di Giovanni perché l’appartenenza al regno supera ogni altra grandezza. E come entrarci? Se ripercorriamo il testo, nel Battista troviamo il modello della necessaria ‘preparazione’. Bisogna essere disposti a pagare con la vita il prezzo della fedeltà alla missione ricevuta. Già questo basterebbe a delineare il volto del cittadino del regno, ma i dubbi di Giovanni aggiungono a tale profilo la capacità di immergersi in un salutare travaglio dell’anima. Colui che immergeva in acque di purificazione è immerso ora dentro di sé, alla ricerca di una verità più profonda. È anzitutto nell’interiorità che si afferma l’identità del discepolo, come il popolo che deve attraversare il mar Rosso è chiamato ad attraversare le proprie paure perché l’evento della liberazione si compia anzitutto nella coscienza del singolo Israelita, altrimenti il prodigio del mare rimane un fatto magico. Infine il Battista ci insegna che il cittadino del regno non si autolegittima ma riceve da Gesù un nome, un volto e un ruolo. Voleva sapere chi era Gesù: se l’ascolterai, sarà Lui a dirti chi sei.