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Santa Barbara, maestra di fedeltà e compassione

Noi oggi festeggiamo Santa Barbara, martire dei primi secoli del cristianesimo, attorno alla quale sono state tramandate tante narrazioni, spesso senza alcun riferimento storico. I tanti variegati episodi costruiti attorno alla sua vita hanno fatto sì che la martire sia invocata come patrona da tante categorie di persone. Per via della morte del padre Dioscoro, colpito da un fulmine dopo aver martirizzato la figlia, essa venne considerata protettrice contro i fulmini e il fuoco, e di conseguenza contro le morti causate da esplosioni o da colpi d’artiglieria. Da qui deriva il suo patronato su numerose professioni militari (artiglieri, artificieri, genio militare, membri della marina) e sui depositi di armi e munizioni (al punto che le polveriere vengono chiamate anche “santebarbare”). Per quanto riguarda la marina militare (di cui fu confermata patrona da Pio XII nel 1951), la santa fu scelta in particolare perché simboleggiante la serenità del sacrificio di fronte ad un pericolo inevitabile. È inoltre patrona di tutto ciò che riguarda il lavoro in miniera e dei Vigili del fuoco. Il patronato sugli artiglieri e sui minatori risale almeno al XV secolo.
Tra i tanti aspetti leggendari della vita della Martire Barbara, emerge un dato di fondo incontrovertibile, ed è quello della fede e dell’abbandono in Dio della martire soprattutto nelle prove subite, che hanno fatto sì che gli eventi per lei si trasformassero da eventi di morte in manifestazioni di vita. Anche la stessa morte inflitta a lei con violenza e crudeltà si trasforma in espressione di vita, perché rivela il coraggio di una fragile creatura, che è capace di eroismo, proprio perché confida in Dio.
Sulla base delle letture che abbiamo ascoltato e sulla base dell’esempio dato da Santa Barbara, è chiaro il capovolgimento cristiano del detto latino, con il quale ho iniziato questa omelia: il bene non si costruisce nella e con la paura, ma con la scelta di ideali che devono orientare la vita. La pace non può essere frutto della paura, ma di scelta di valori che la generano, l’alimentano e la proteggono.
La prima lettura appartiene ad profeta Isaia, che profetizza nel 740 A. C. annunciando la rovina di Israele, come castigo per l’infedeltà del popolo. In questa lettura c’è l’insegnamento che i valori, soprattutto quello della stabilità dello stato e in particolare della pace, vengono garantiti solo con il ritorno al Signore Dio e alla sua legge: Ecco l’immagine del monte del Signore che sovrasta ogni altro, con l’invito accorato: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». … Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra.
Il profeta conclude: “Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore”. Il popolo di Israele, sempre, nei momenti di difficoltà, soprattutto nell’esperienza della dominazione straniera e soprattutto dell’esilio in Babilonia, piange il suo peccato contro la legge del Signore; peccato che ha destabilizzato lo Stato e lo ha reso facile preda dei nemici. Rimpiange allora la fedeltà all’alleanza con Dio, che aveva significato benessere e pace. E decide di ritornare a lui, riprofessando l’alleanza con Dio, dalla quale si era allontanata.
Nell’invito del profeta a salire sul monte e a camminare alla luce del Signore, possiamo leggere anche la richiesta umile ma fervorosa del centurione romano: “Il mio servo giace in casa paralizzato …non sono degno che tu entri nella mia casa … dì una sola parola ed egli sarà guarito”. Gesù loda questa fede, tanto più grande, quanto più la si consideri espressa da un pagano.
Queste celebrazioni in onore dei patroni da parte dei vostri corpi, militari e non, secondo quanto voi stessi dichiarate in queste occasioni, hanno il sapore di voler fondare il vostro lavoro sull’ossequio e sulla fedeltà ai valori. Certamente non si può pretendere che tutti vogliano fondarsi sui valori religiosi, ma per lo meno sui valori umani, che trovano la loro radice sulla ricerca della verità e l’orientamento di essa verso il bene comune. Solo la fedeltà ai valori può costruire uno Stato forte e libero, all’interno del quale può regnare la serenità e la pace.
Il centurione manifesta la sua fiducia totale e incondizionata nel Signore attingendo le risorse per essa dall’esperienza della sua vita militare, all’interno della quale la parola gioca un ruolo importante: la parola-giuramento, la parola-ordine dato, che diventa parola-generatrice di obbedienza, la parola-fiducia e confidenza amorevole. Ognuna di queste tipologie di parola forgia l’esperienza di un militare e di qualunque servitore dello Stato, che ritrova se stesso e l’equilibrio della sua vita in questa parola.
Questa esperienza da militare dà al Centurione la sicurezza che basta una parola detta da Gesù, anche a distanza, perché il suo servo guarisca. È per noi una grande lezione che ci rivela quanto possa contribuire la nostra fedeltà alla legge di Dio e ai valori, che da essa scaturiscono, per la costruzione del bene comune.
Un ultimo rilievo sul Vangelo ascoltato, che contribuisce a rivelarci quanto sia importante la scelta dei valori per la costruzione del bene comune. Noi rimaniamo colpiti non solo dalla fiducia del centurione nella semplice parola di Gesù, ma anche dell’amorevole dedizione di uno che comanda verso il suo servo. E se consideriamo quale fosse in quel tempo la considerazione generale del servo e dello schiavo in una cultura che dava molto spazio alla distinzione delle classi, rimaniamo maggiormente colpiti.
L’umanità, la compassione, l’interesse per la persona altrui, per il suo bene, realizza maggiore capacità di equilibrio e di pace sociale, che non la paura e la repressione senza rispetto della persona. È quanto non hanno mai capito i dittatori e i governanti in genere di tutti i tempi, anche quelli di oggi, che dimenticano troppo spesso che l’ebbrezza del potere dura poco; esso finisce e ci si ritrova poi nel vuoto dell’abbandono e della solitudine, che spesso genera disperazione.
Rivolgo a tutti voi donne e uomini della Marina militare e dei vigili del fuoco, l’augurio che possiate impostare così la vostra vita personale, le vostre relazioni reciproche e il servizio alla collettività: fedeltà ai valori e compassione amorevole.
Grati per il servizio che rendete, invochiamo per tutti voi la benedizione di Dio.