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Il modello della crescita infinita – costruito dalla hybris dell’ ‘uomo economico’, ossessionato dal denaro e obbediente agli imperativi del produrre, consumare, competere – ha prodotto la grave crisi che stiamo attraversando.
Crisi non solo economico-finanziaria, anche antropologico-ecologica.
Irreversibile se non si cambia rotta senza indugi.
Si persevera nel far credere che si tratti di una crisi interna al sistema, che, ferito, può essere curato e ri-sanato con un programma “di ripresa controllata dal rigore e di austerità temperata dal rilancio”(sic!).
E si spiega – con cinica efficacia comunicativa – che i sacrifici richiesti sono ‘necessari e inevitabili’.
E intanto le incontrastate ‘formazioni predatorie’ sovranazionali, strutture di peccato complesse e globali, consolidano il loro strabordante potere economico-finanziario e, ignorando ogni limite antropico ed entropico, accelerano e rafforzano i processi di distruzione di risorse e persone, producendo esclusioni e scarti anche umani: “il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice”; “questa economia uccide” (Evangelii gaudium 59,53).
La natura non è “qualcosa di separato da noi, o mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa e ne siamo compenetrati” (Laudato si’, 139); “viviamo in comunione con essa”; “l’abuso e la distruzione dell’ambiente […] sono associati ad un inarrestabile processo di esclusione [… dei] deboli e meno abili.
L’esclusione politica e sociale […] è una negazione totale della fraternità umana e un gravissimo attentato ai diritti umani e dell’ambiente” (così Papa Francesco), sì che qualsiasi danno all’ambiente è un danno all’umanità e viceversa.
Urge una svolta radicale. Procedendo prima a “decolonizzare l’immaginario”, quindi a liberare l’immaginazione.
Per ripensare in chiave di ecologia integrale e integrante modelli antropologici, culturali, politici, sociali, economici capaci di ispirare decisioni politiche ed economiche a misura della dignità dell’uomo e di quella della natura, che è la misura della giustizia, restitutiva innanzitutto, oltre che (re)distributiva, commutativa o retributiva.
E promuovere l’educazione a nuovi stili di vita.
Come quello, sicuramente fecondo per la sua carica intrinsecamente inclusiva, della convivialità.
“Arte di convivere senza massacrarsi” (Caillé), restituendo umanità al vivere nel mondo, la convivialità consentirebbe “uno sviluppo proporzionato e armonioso secondo appropriatezza e specificità” (Illich).
Meglio se accompagnata e alimentata dalla decrescita, da intendersi principalmente come obiezione all’imperativo della crescita economica infinita (Latouche), non certo come ritorno all’età della pietra o rinnegamento delle moderne conquiste tecnoscientifiche.
Motivata, la decrescita conviviale, dallo spirito e dalla logica del dono, che apre e fonda lo spazio della libertà e istituisce relazioni orizzontali in una trama di reciprocità fiduciale: condizioni imprescindibili d’ogni democrazia.
Giovanna Cassalia