Il brano odierno, tratto dal noto capitolo sesto di Giovanni, riporta il discorso sul pane della vita che Gesù rivolge alla “folla”. Mi sembra significativo già questa prima annotazione, quasi per dire che il Signore, per presentare uno dei temi fondamentali della rivelazione cristiana, non si rivolge a un gruppo prescelto, ad una éilte pia e devota, non si rivolge neanche al solo gruppo ristretto dei Dodici e neanche dei settanta discepoli, ma parla a tutta la folla, in quanto questo pane spezzato, questo sangue versato è per tutti, “nessuno escluso mai”, poiché tutti, santi e peccatori, giusti e ingiusti, hanno bisogno della forza del pane eucaristico. Eppure quanti, che pur si dicono cristiani e che magari svolgono anche un servizio importante all’interno delle nostre comunità, sono convinti di questo? La prova l’avremo ancora una volta dalla frequenza alla messa domenicale nell’imminente periodo della dispersione estiva.
Gesù, dopo essersi presentato come “il pane vivo disceso dal cielo”, assicura che “chi ne mangia vivrà in eterno” e che in esso è assicurata la stabilità della “vita del mondo”. Anche qui non possiamo non sottolineare con forza come spesso ci sfugga questa dimensione di eternità, per cui facciamo le cose, anche quelle più belle e sante, come se dovessimo vivere e eternamente quaggiù, dimenticando che “la nostra patria è nel cielo”.
Ne segue, a dire dell’evangelista, un’aspra discussione da parte di chi ritiene impossibile dare da mangiare la propria carne e di conseguenza potersi nutrire della carne di un determinato individuo. Siamo davanti al delirio, all’assurdo, alla follia umana! Ma Gesù insiste e incalza sulla veridicità del suo essere cibo e bevanda di vita: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda”. Naturalmente sono tanti gli spunti di riflessione che derivano dall’ascolto delle parole di Gesù. il primo è saper comprendere che cosa vuol dire Gesù quando dice di farsi per noi pane e vino, cibo e bevanda di vita. Possiamo dire che, come il nostro corpo non vive se non mangia e non beve, anche la nostra vita spirituale è destinata a un costante deperimento e persino alla morte se non è alimentata e dissetata dall’amore di Dio, che si fa mangiare, “masticare” da noi, per darci forza e vita.
Una seconda riflessione ci viene offerta dal fatto che noi “naturalmente” assimiliamo quello che mangiamo e beviamo. In questo processo di assimilazione non leggiamo solo una ricerca egoistica per il soddisfacimento dei nostri bisogni, ma anche un impegno per migliorare la nostra persona ed elevare la vita umana e spirituale. Il verbo “assimilare” ci rimanda immediatamente alla parola “assomigliare”.
Ecco perché nutrirsi del Corpo e del Sangue del Signore non è solo e tanto lo sforzo di assolvere al precetto, comunque pur sempre valido, di “santificare la festa” e quindi di andare a messa almeno la domenica; tale sforzo sarebbe inutile senza l’impegno di farci sempre più simili a Gesù, di imitare costantemente lo stile di vita del Signore, che “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo” e rimanere con noi sempre, fino alla fine di questo mondo, nel pane della vita. Ecco allora il costante crescente impegno per la vita di ogni discepolo di Cristo: farci pane spezzato per i fratelli, renderci presenti nella loro vita, lasciandoci anche noi mangiare da loro, per poter dare anche noi il nostro contributo per la loro felicità e salvezza. Per di più che questa è anche l’unica via per raggiungere e sedere al banchetto del cielo, per godere di quella presenza reale del Signore, pregustata nel cammino terreno attraverso il pane eucaristico.
Monsignor Giacomo D’Anna