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Quaresima digitale, stasera il vescovo in diretta con i giovani

Come ormai un’abitudine per questa «Quaresima digitale», il presule vivrà questo momento di catechesi in pieno spirito di condivisione con un alcuni fedeli espressione dei diversi ambiti d’azione della Chiesa locale.
Stasera, all’interno delle “stanze virtuali” di Facebook, ci saranno i ragazzi della Pastorale giovanile reggino-bovese. Con loro, monsignor Morosini rifletterà su un brano dell’evangelista Giovanni: si tratta della parabola del chicco di grano.
Dopo l’impegno di stasera (ecco il link per seguirlo in diretta: https://www.facebook.com/reggiobova/videos), il percorso della «Quaresima digitale» si concluderà con gli ultimi due appuntamenti: mercoledì prossimo (24 marzo) in collegamento col Seminario arcivescovile “Pio XI”, mentre all’interno della Settimana Santa (mercoledì 31 marzo) l’arcivescovo incontrerà gli operatori della Caritas diocesana di Reggio Calabria – Bova.

Durante la diretta di mercoledì scorso, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini si è rivolto alla comunità del Grande ospedale metropolitano (medici, sanitari, amministrativi e volontari). Ecco il testo della catechesi:

Guardare verso il Crocifisso per avere speranza

Nella quarta domenica di quaresima la Chiesa, proseguendo il suo itinerario quaresimale, ci propone di meditare il nostro rapporto con il mistero pasquale di Cristo; ci propone di ritornare sul Crocifisso, per scoprire nel mistero di morte e risurrezione di Gesù l’evento, mistero chiave della nostra salvezza. Guardare verso di lui, significa credere che la nostra salvezza parte da lì, è riposta su questo evento, per cui lì prende forma la nostra speranza.

Ci viene chiesto in questa domenica lo stesso atto di fede chiesto a Pietro e agli altri apostoli prima della trasfigurazione: il Cristo non è il Messia politico potente che vi aspettate, ma quel Gesù di Nazaret, perseguitato, umiliato, percosso e flagellato, coronato di spine e condannato, e alla fine messo in croce. Il Cristo è il crocifisso. Questa identificazione aveva scandalizzato Pietro e gli altri apostoli. Essa viene proposta di nuovo a noi oggi.

A tutti noi, alla ricerca di speranza tra le tante vicissitudini e sofferenze della vita, ci viene chiesto di guardare verso il Figlio dell’uomo innalzato.

Innalzare è il verbo tipico dell’atto di elevazione della croce. Ma, nello stesso tempo, per Giovanni questo innalzare significa anche glorificare. Questo è il capovolgimento del metro di misura, per cui dallo scandalo e dalla follia della croce, Paolo passa alla salvezza.

La croce è glorificazione. Nel momento stesso in cui Cristo muore viene glorificato dal Padre. Per questo può dare la vita eterna, per questo la croce può essere salvezza anche per noi, per questo il bene, ogni bene, passa attraverso il mistero del dolore e della morte.

Alcuni versetti del Vangelo di Giovanni che illustrano questo tema:

* Gv 1,51: Poi gli disse: (a Natanaele) «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo».

* Gv 8,28: Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo.

* Gv 12, 32-34: Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me». Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire. Allora la folla gli rispose: «Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell’uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell’uomo?». (scontro con i Giudei dopo l’ingresso messianico a Gerisalemme)

* Gv 13,31-32: Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. (discorso d’addio dopo l’ultima cena)

Ecco perché siamo invitati a guardare verso il Figlio dell’uomo innalzato. Guardare significa sperare, perché si attende la salvezza dall’oggetto o dalla persona verso la quale noi guardiamo. E Gesù pone come nostra speranza il suo mistero di morte e di risurrezione. Sapeva di proporci qualcosa di difficile. E lo sperimentiamo ogni giorno fare i conti con la croce.

Come può un crocifisso dare speranza? Come può dalla morte nascere la vita? Come può dal dolore nascere la gioia?

Questa è la sfida della fede, fondata sulla morte e risurrezione di Cristo.

Paolo sentiva tutta la contraddizione di questo annuncio: È piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini (1Cor 1,21-25)

È un testo con il quale l’uomo di fede deve fare i conti quotidianamente, perché ogni giorno sperimenta la difficoltà di accettarne i contenuti.

Eppure è Gesù stesso ad indicarci questo sguardo, richiamandoci l’episodio del serpente nel deserto, quando gli Ebrei, che mormoravano contro Dio e Mosé, furono puniti con i serpenti. Mosé per ordine di Dio mise il serpente di rame al centro dell’accampamento: chi morso dal serpente, guardava verso quel serpente guariva.

È d’obbligo il richiamo al Golgota e alla contemplazione da parte di Giovanni del Crocifisso con il costato aperto dalla lancia. L’apostolo, ricorda questa scena per narrarla ai primi cristiani, li invita a ricordare il profeta Zaccaria: guarderanno a colui che hanno trafitto.

Perché proprio un crocifisso deve essere segno di speranza? Perché noi crediamo che dalla croce nasce la vita? È S. Giovanni a rispondere a questa domanda con una riflessione, che segue immediatamente dopo il richiamo del serpente innalzato nel deserto, con un infatti che esprime la sua volontà di dire il perché Gesù abbia detto queste parole. Scrive così il discepolo prediletto: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3,16-17).

Che cosa vuol dire S. Giovanni? Il Crocifisso è l’espressione dell’amore di Dio che salva l’uomo dicendogli che vuole salvarlo stando accanto a lui, vivendo come lui, soffrendo come lui, morendo come lui (la redenzione nel segno della compassione e della condivisione). Dalla croce il Figlio ci dice: io sono stato come uno di voi per capirvi e immedesimarmi di voi e delle vostre sofferenze. Però, come Figlio di Dio ci dona l’amore del Padre e ci rende figli, capaci di amare così come siamo amati, nel segno della compassione e della condivisione.

La salvezza che Gesù ci ha portato non è nient’altro che la notizia che Dio ci ama, non ci abbandona, ci dona la vita eterna.

È necessario affrontare la questione della comprensione di questa parola, che leggiamo spesso nella Sacra Scrittura, ma senza coglierne, forse, il significato autentico.

Che cosa è la vita eterna? Vita eterna non è solo la vita futura, quelle che inizia dopo la morte. Gesù ha detto che la vita eterna comincia già in questo mondo attraverso la conoscenza di Dio. Gv 17,3: Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.

Allora il significato autentico va cercato altrove e Gesù ci ha indicato la strada, ed è quella del rapporto con Dio. Vive la vita eterna colui che crede in Dio, entra in comunione con lui, pensa ed agisce come lui ci indica.

Gesù è la vita in sé e la dà a quelli che credono in lui:

* Gv 5,26: Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso.

* Gv 1,4.12: In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; … A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome.

* Gv 5,24: In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.

* Gv 20,31: Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Questa vita, che il Figlio ha e dona, spesso è detta eterna: aggettivo che indica una qualità divina, per la quale la vita è al di là di ciò che è corporeo e del tempo, di durata misurabile. È promessa ai credenti.

* 2Cor 4,17-18: Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne. Ma è già data loro.

* Gv 3,36: Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui».

* Gv 5,24: In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.

* Gv 6.40: Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Si compirà nella risurrezione

* Gv 6,39-40: E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

* Gv 6,54: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.

* Gv 11,25-26: Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; [26]chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?».

Se la vita eterna è sostanzialmente questo rapporto che si instaura con Dio (credere in lui), rapporto che inizia già su questa terra e si consuma nella risurrezione, allora è chiaro perché il mistero pasquale di Cristo è la chiave interpretativa della nostra vita.

Gesù nei momenti difficili della sua vita non ha perso l’unione con il Padre, la consapevolezza della figliolanza e della vicinanza a lui, che sentiva che non lo abbandonava; ciò era per lui motivo di serenità pur nella sofferenza.

Cristo con il battesimo ci ha fatti partecipi di questa figliolanza, per cui il Padre è sempre accanto a noi. Allora:

* noi possiamo perdere tutto, ma non perdiamo Dio;

* la felicità non si misura solo con il metro del tempo e del terreno;

* possiamo essere malati, morire giovani, non essere ricchi, fare fatica a condurre la vita, avere mille difficoltà, Dio è sempre vicino a noi e ci salva dicendoci che tutti questi mali sono stati riscattati da Figlio con la risurrezione.

Noi quindi manteniamo sempre la vita eterna anche nelle difficoltà, anche nella morte, perché non perderemo mai la figliolanza divina e quindi l’appartenenza a lui.

Come Gesù anche noi riscatteremo tutti i nostri mali quando la vita eterna sarà piena.

Può sembrare un assurdo: noi vinceremo tutti i mali e la stessa morte, morendo, come ha fatto Gesù.

Capiamo allora il passo dell’Apocalisse 21,1-5:

* Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”. E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”; e soggiunse: “Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci.

Capisco che è un discorso difficile da accettarsi, perché noi abbiamo perso la visione dell’eternità e ogni consapevolezza della vita eterna. Noi ormai pensiamo di giocarci il tutto della vita (significato, valori destino ecc.) qui nel terreno e nel temporale. Pensiamo che l’unica felicità possibile è circoscritta nell’arco degli anni che viviamo, che speriamo siano il più possibile lunghi e senza guai (sappiamo che è impossibile però). Conosciamo l’espressione abituale: la vita è breve, me la voglio godere più che sia possibile.

Fuori di questa visione tutto è una disgrazia.

Noi siamo invitati a guardare verso il Crocifisso. Questo è il capovolgimento della fede.

Gv 3, 14-15: così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Gesù è chiaro nel suo parlare: la salvezza è la vita eterna.

Ma qui è la fatica del nostro credere oggi: domina un’idea della felicità costruita a partire dall’ottica della vita presente, tutta accartocciata nel tempo, nel passeggero, nel provvisorio.

L’itinerario quaresimale ci porti a familiarizzare con la vita eterna, guardando il Figlio dell’uomo innalzato che il serpente nel deserto.