Il Vangelo di questa domenica ci parla del padre che manda i suoi due figli a lavorare nella vigna. Anche questa pagina è un valido contributo spirituale per chi vuole divenire ogni giorno di più vero discepolo del Signore, superando i limiti e le debolezze di ogni essere umano. In verità il discorso di Gesù è rivolto specificatamente “ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo”, destinatari precisi, da tutti considerati i massimi rappresentanti della comunità e le autorità religiose per eccellenza. Gesù chiaramente non nutre una particolare simpatia per queste categorie. Il motivo è chiaro: questi tali erano l’emblema di coloro “che dicono e non fanno”.
Al centro dunque del suo messaggio non c’è un attacco verso la fragilità umana, per la quale Egli mostrerà particolare comprensione, ma contro la doppiezza dell’essere, la falsità, l’incoerenza. Per Gesù non ci sono dubbi: nella vita dei suoi seguaci non ci può essere posto per questo modo di essere, specie se esso diventa stile di vita. Comprendiamo allora che l’espressione finale è un pugno allo stomaco: “I pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel regno di Dio”. Non certo un’approvazione per chi conduce una vita disordinata e percorre una strada sbagliata, ma una lode per quanti sanno mettersi in discussione, non si sentono arrivati, e sono disposti a intraprendere un serio percorso di conversione. Sì, in fondo questa è la parola chiave del Vangelo odierno: “conversione”. Lo dice lo tesso Gesù quando motiva il suo disappunto verso i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, affermando che a differenza dei peccatori e delle prostitute non si convertirono alla predicazione di Giovanni il Battista.
“Un padre aveva due figli”. Le parole iniziali ci ricordano un’altra nota parabola, quella del “figliol prodigo” o del “padre misericordioso”. Al centro dell’attenzione c’è un padre, con tutto quello che questa figura rappresenta, non un padrone o un re, ma un genitore, nel senso etimologico del termine, colui che ti ha dato e continua a darti quotidianamente la vita, non solo nell’atto generativo di chi mette al mondo un figlio, ma di chi si prende cura di te, ti alleva e ti cura con singolare amore. Vengono poi due figli; balza subito agli occhi la diversità dei due fratelli, pur avendo alle spalle lo stesso padre. Mi vengono in mente le parole di un vecchio proverbio calabrese che suona così: “Tutti di un ventre, ma non tutti di una mente”, proprio per sottolineare che, pur provenendo dalla stessa madre, non si hanno per questi gli stessi pensieri e sentimenti. Il primo figlio appare immediatamente ribelle e disobbediente al padre che lo manda a lavorare nella vigna, rifiutando l’invito con un netto: “No, non ne ho voglia”. Il secondo invece è tutto riverente e rispettoso, ma poi concretamente rifiuta il mandato del padre. La parabola ci sta dicendo che stranamente chi aveva detto no poi finisce per fare sì e chi aveva detto sì alla fine ha fatto no. Qualcuno si è chiesto: “Ma non poteva esserci un terzo figlio che dice sì e poi fa sì?”. Per fede uno solo è stato obbediente al Padre, Gesù Cristo, che “imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8-9) e che “spogliando sé stesso… si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,6-8).
La lezione è chiara: cambiare una volta per tutte la nostra idea di Dio (è questa la prima forma di conversione), considerato non poche volte un padrone duro e severo al quale assicurare un rapporto servile e timoroso, invece che, come Lui stesso si è rivelato, Padre buono e misericordioso. Davvero non dovremmo mai scordarci che “il nome di Dio è misericordia” (Papa Francesco) e che essa è senza limiti e per tutti, specie per quanti si riconoscono figli, da Lui non respinti per il fatto di essere qualche volta ribelli e disobbedienti, ma veri e sinceri, figli che sanno convertirsi, sanno cioè chiedere scusa, desiderosi di tornare tra le braccia del Padre, che sempre li attende e li accoglie.