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Preparare la via del Signore è ritrovare anche la nostra

Il vangelo di oggi si apre con una contestualizzazione storica ben precisa e per farlo si riportano nomi altisonanti di personaggi importanti e illustri: imperatori, tetrarchi, regnanti, sommi sacerdoti. Di fronte ad essi c’è un uomo, definito semplicemente “figlio di Zaccaria, sul quale si posa la parola di Dio, nel deserto”. Di lui viene specificato anche la missione, ossia dedicarsi alla predicazione e attuare un battesimo di conversione. Non sembra il massimo dell’etichetta; sicuramente noi non la useremmo per le nostre presentazioni ufficiali e bigliettini da visita, spesso ridondanti di una serie di titoli atti ad esaltare le nostre qualità. Certo, se Pilato, Quirino, Erode, Filippo, Lisania, ma anche i sommi sacerdoti Anna e Caifa, da tutti considerati i grandi della terra, i detentori del potere, avessero saputo che un giorno sarebbero stati ricordati non in virtù delle loro gesta e imprese eroiche, ma per aver casualmente incrociato i primi giorni di vita di quel “bambino”, figlio di poveri ebrei, sarebbero impalliditi, se non morti di rabbia.
Consideriamo poi il luogo di questa missione, il deserto: e lì che Giovanni è inviato a gridare il suo annuncio di conversione. Una domanda sorge spontanea. Ma nel deserto a chi si predica, a chi si annuncia? Comprendiamo allora che il deserto oltre ad essere un luogo geografico, del quale conosciamo bene le infelici caratteristiche, è da considerare un ambiente vitale, vicino a noi più di quanto pensiamo. Deserto è sì dove manca l’acqua e la vita è compromessa, ma è anche aridità di vita spirituale, che per noi si traduce poi drammaticamente come mancanza di pace, di gioia e di serenità. In questo senso, quanto deserto, quanta aridità, quanta arsura dentro e intorno a noi!
Infine, l’oggetto della predicazione: “Preparate la via del Signore; raddrizzare i suoi sentieri”. È necessario che qualcuno appiani la strada e raddrizzi la via, con tutte le storture e tortuosità che esse presentano. Il riferimento non è a dissesti geologici o terreni particolarmente impervi, ma l’invito di Giovanni ci sprona a riportare nella nostra vita quelle forme necessarie di stabilità, equilibrio e solidità che abbiamo forse smarrito. Qualcuno dirà: “Queste cose le sappiamo, le hanno dette e ridette i nostri parroci”. Sappiamo che l’impegno prioritario del tempo di Avvento è riempire i burroni delle ingiustizie e delle prevaricazioni sociali, abbassare i monti dell’arroganza e livellare i colli della nostra mania di grandezza e di predominio sugli altri. È vero, lo sappiamo, ma quanti di noi si impegniamo a vivere secondo questo stile non solo l’Avvento, ma anche tutta la vita?
L’odierna pagina evangelica si conclude con una profezia vera e propria, una promessa di Dio che certamente non potrà non realizzarsi: “ogni uomo vivrà la salvezza di Dio”. Cosa significa per noi oggi questa espressione? Che significa vedere la salvezza di Dio? Se ci pensiamo, questa promessa divina è davvero bellissima! Significa che davvero, come abbiamo ribadito domenica scorsa, Dio verrà e ci salverà, che Lui è accanto a ogni uomo e ogni donna, così vicino che non esiste più il sacro e il profano, ma tutto è consacrato dalla sua venuta salvifica. Persino a chi lo rifiuta, a chi lo nega, Dio resta vicino, rimane sempre e comunque amore e misericordia. Il verbo al futuro “vedrà” ci dona speranza, ci dice che la strada si aprirà e si snoderà anche domani, e Dio sarà là per sostenerci, accompagnarci e amarci, ieri, oggi, sempre.