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La pericope, infatti, inizia con un’indicazione che va di là del semplice riferimento temporale. Quel “medesimo giorno” è lo stesso in cui Gesù ha rivelato se stesso come il regno di Dio che si è avvicinato attraverso l’annuncio, come un agricoltore che ha seminato il seme della parola, ma che non sa come questa “germoglia e cresca”. Il brano poi viene sviluppato e nella sua brevità colpisce per alcune tensioni testuali in cerca di spiegazione che la narrazione stessa non riesce a dare, anzi che richiede per essere compresa. Come nelle parabole è in questo genere di tensioni che bisogna cercare il significato del racconto. Nella prima parte Gesù pur avendo ordinato di passare all’altra riva diventa stranamente passivo, lo prendono e lo conducono, normalmente è Gesù che prende e conduce, nella barca se ne sta a poppa a dormire. Gesù è come assente dall’azione, è questo il punto nevralgico del racconto. Il momento del pericolo viene vissuto con una serie d’interrogativi che ricercano i sentimenti e l’identità di chi ti sta accanto: “Maestro non t’importa che moriamo?”; “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”; “Chi è costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?” aprono nel lettore la strada in cui deve ricercare l’identità del Maestro e specularmente la sua identità.
“Passiamo all’altra riva”, tutto inizia con questa parola di Gesù, per fare cosa? Non viene spiegato il motivo per cui si passa dall’altra parte del lago. Dopo questa parola, a livello narrativo, Marco ci ha abituato a sentire: “E li prese con sé”, invece ci dice “Lo presero con sé, così com’era, nella barca”. È come se in quel preciso istante la parabola precedente rende concreto, Gesù ha parlato è attraverso questa parola ha annunciato se stesso, la sua parola va presa così com’è, senza aggiungere o togliere. Il seme non può essere modificato, il terreno (la barca) lo accoglie com’è. Come bisogna accoglierlo? Il legame con la parabola diventa sempre più forte, Gesù sta a poppa e dorme, là dove il comandante dovrebbe tenere in mano il timone e dirigere le operazioni, lui dorme. Gesù come l’uomo della parabola è assente nel momento nevralgico del racconto. O meglio, non è assente, ma dorme. Non siamo lontani dal paradosso della parabola, che ne sarà dell’ordine dato visto che il vento ha sollevato una tempesta? I discepoli attraverso la loro frase manifestano due cose: la paura di morire e la scarsa considerazione della presenza del “dormiente” in mezzo a loro. La domanda indaga su cosa Gesù prova nei loro confronti ma nello stesso tempo rivela quello che loro provano nei confronti di Gesù. Lo scarto tra quello che Gesù può provare e quello che essi provano è enorme. Si racconta attraverso questa frase una tensione che viene resa comprensibile come servizio del riconoscimento mediante la fede. Indirettamente il testo dice: se tu credi ed effettui il riconoscimento di chi è realmente Gesù, potrai sperimentare quanto ti sia intimamente vicino nell’estremo pericolo.
Colui che dormiva ora comanda il vento e il mare e questi gli obbediscono. La nuova situazione permette le due domande di Gesù. I due interrogativi svelano la situazione concreta dei sentimenti dei discepoli e soprattutto ne rivelano la causa, nello stesso tempo illuminano e completano la parabola. Come accogliere il seme per farlo germogliare e crescere? Quello che è assolutamente necessario per accogliere il regno di Dio è la fede. La parabola dell’agricoltore che dorme avrebbe dovuto portare loro un’iniezione di fiducia e consolidare la loro fede. I discepoli scoprono la fede attraverso le prove. Qui il maestro è il primo a credere, cioè si fida di loro, semina la sua parola, affida loro il seme, chiede a loro di portarlo all’altra riva e si mette nelle loro mani. Loro devono arrivare a credere appoggiandosi sulla fede che Gesù ha posto in loro. Gesù crede in noi perché è uscito a seminare.