{module AddThis}La domanda che tante volte nasce è questa: “Ma la gente racconta ciò che realmente vive o cerca di vivere ciò che racconta?” La domanda una risposta la dà comunque, rivela la difficoltà di trovare un punto di riferimento, il rifiuto di quello che siamo e dello scopo da raggiungere, di un percorso donato e partecipato fonte e meta di felicità. Rivela la solitudine non come mancanza di presenza ma come assenza di luce che illumina un cammino, una solitudine che si rispecchia nel fissismo di chi si illude di cercare la verità e la felicità nell’uomo che basta a se stesso. Abbiamo bisogno di uscire da questa solitudine, di Qualcuno che ci insegni ad essere felici nell’assunzione solidale delle nostre difficoltà e nella partecipazione docente dell’amore: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11,29). L’aver abbandonato Dio ha lasciato parte dell’umanità monca nel suo desiderio di imparare, la presenza di questo desiderio richiede l’insegnamento e un maestro che ci guidi, entrando in noi e facendoci uscire da noi, a ciò da cui veniamo e verso cui tendiamo.
È l’esperienza del popolo d’Israele che nella solitudine del deserto scopre la sua identità di popolo di Dio nei prodigi del Signore, la fissa e la sviluppa nell’insegnamento che gli viene consegnato. Un insegnamento che nella sua natura porta con sé la nostra libertà, se viene ascoltato dà la vita, se viene osservato, senza nulla aggiungere o togliere, dà intelligenza, se viene messo in pratica diventa insegnamento incarnato per tutti gli altri popoli, strumento di comunicazione della presenza di Dio in mezzo al suo popolo.
Un insegnamento che va trasmesso con le labbra ma richiede la partecipazione del cuore come ricorda Gesù agli scribi e ai farisei venuti da Gerusalemme: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio voi osservate la tradizione degli uomini». Attraverso questa frase Gesù smaschera il tentativo di inganno del falso credente, non solo quello dell’epoca, ma anche quello di nostri giorni, che s’illude di rendere culto a Dio attraverso atti esteriori che non richiedono nessuna fatica e soprattutto non portano a nessun cambiamento ma è incapace e rifiuta il comandamento di Dio che solo può cambiare il cuore. Una tradizione umana che anche nei casi migliori non riesce a cambiare e rendere felice l’uomo in quanto proviene da un cuore malato e incapace di dare il bene. Lo scopo dell’intervento di Gesù non è solo quello di dichiarare puri tutti gli alimenti, ma di far capire che in sé l’uomo non ha il bene da donare.
A volte ci s’illude che lo scambio reciproco a livello materiale ed economico, a livello morale e relazionale sia la soluzione per costruire una società dell’amore, ma come ci ricorda bene Gesù non basta la buona intenzione, non basta dare quello che abbiamo se quello che esce da noi contamina l’altro, poiché da di dentro, cioè dal cuore degli uomini escono solo cose cattive. Davanti a questa realtà dura e amara sono più che mai attuali le parole del profeta Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo ….. Niente è più ingannevole del cuore e difficilmente guarisce … Guariscimi Signore, e guarirò, salvami e sarò salvato.”. Parla Signore perché il tuo insegnamento è la medicina e la gioia del mio cuore.