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Pasqua, l’omelia dell’arcivescovo Morrone: «Anche noi siamo risorti»

“Quando sarò innalzato attirerò tutti a me”: è il grido speranzoso dell’Amore, crocifisso alla nostra libertà. Questa è la ratio, la ragione dell’Amore, il Logos incarnato di Dio, la Parola fatto uomo, che non pretende di avere ragione, ma si offre come ragione, acqua e luce, motivo di vita umanamente piena.
Noi abbiamo bisogno di dimostrazioni perché nel nostro autoreferenziale e idolatrico narcisismo, pensiamo di possedere la verità e di imporla. È la logica di ogni ideologia e religione che in nome di Dio ha seminato zizzania, morte, negando diabolicamente l’atto creativo stesso di Dio che ci ha resi liberi, a immagine del Suo Figlio.

Nel Crocifisso di Dio, Gesù di Nazaret, che assomma e porta in sé tutte le ingiustizie che dall’alba dei giorni si vanno consumando in questa nostra storia, si mostra allora, l’Amore più grande che in tutte le notti tenebrose dei nostri e altrui tradimenti, delle nostre autarchiche e autistiche chiusure, dei nostri orgogli accecanti, delle nostre irrazionali guerre continua piegarsi ai nostri piedi per sostenerci nella sottile speranza di bene, fatta vibrare in noi dalla Sua carezza.
Come credenti sentiamo nel profondo del nostro cuore che non c’è vero futuro per questo nostro mondo, non altra via possibile per noi esseri umani che aneliamo alla giustizia e alla pace, se non in quella tracciata e vissuta da Gesù, perché “Dio era con Lui” (At 10). Nella morte del suo Gesù, Dio ha ammesso di stare dalla sua parte, dalla parte dei poveri, degli ultimi e degli scartati dal banchetto dei beni, a quelli a cui è stata annunciata la lieta novella del Regno. Gesù infatti in tutta la sua vita “passò beneficando e risanando tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo”.
Gesù pertanto è morto così come è vissuto realizzando solo ciò che desiderava il Padre suo, il Dio che va in cerca dei perduti e degli smarriti di cuore e impazzisce di gioia se anche uno solo ritorna sui suoi passi e si lascia abbracciare dalla Sua misericordia.

Gesù ha annunciato il Dio dei viventi. Per questo alla legge dell’occhio per occhio, dello sfruttamento, della sopraffazione, alla logica dei mercati e del capitalismo neo liberista senza alcuna etica, che detta i criteri del gioco in ogni campo del vivere umano, travolgendo i destini dei singoli e di interi popoli, portando distruzione e morte, emarginazione e chiusure, Gesù contrappone la legge della misericordia e del perdono, della prossimità e dell’accoglienza, ponendo al centro la dignità di ogni creatura umana, più preziosa del Tempio e del Sabato, del mercato e di ogni interesse economico, culturale, religioso.
Per questa “bestemmia”, per questo capovolgimento di logica, (chi ti credi di essere, Dio?) Gesù è stato messo a morte, cacciato fuori dalla città degli uomini.

“Ma Dio lo ha risuscitato”, confermando tutte le scelte compiute dal suo Unigenito: ha rimesso in piedi il Suo Cristo, rimettendo in piedi la nostra storia, facendola ripartire una volta per sempre. L’Amore, quello che solo Dio è, così come solo Gesù poteva viverlo, non può morire, poiché più forte di ogni morte è l’Amore. Anche se i discepoli dopo l’apparente fallimento della missione di Gesù presi dal panico, storditi dall’orrore di tanto male abbattutosi sul loro Maestro, erano fuggiti, in realtà, nel profondo del loro cuore l’esperienza vissuta corpo a corpo con Gesù non poteva spegnersi totalmente: in loro ardevano ancora le braci delle sue parole, dei suoi gesti, del suo sguardo. La speranza, anche quando ne resta un tremulo filo, non si appoggia sull’illusione, ma su dei fatti vissuti, di relazioni amicali intrecciati, pur se non immediatamente comprensibili.

C’è bisogno di un supplemento di luce, anzi di tutta la Luce che solo in parte le Scritture profetiche lumeggiavano.
“Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto”, è la voce della speranza che sale dal grembo di una donna che fiuta la vita nel segno di un sepolcro vuoto, proprio quando ormai le ultime resistenze del buio cedono il passo al giorno che avanza.

Una cosa è certa, Lui, non è lì. Ma la speranza di Maria riprende fiato, anche se questo non è ancora sufficiente a parlare di resurrezione, non come ritorno a questa vita, com’era accaduto per Lazzaro, ma come pienezza di vita, già in questo nostro oggi. In verità per incontrare il Crocifisso Vivente è necessario un ulteriore cammino in cui è sempre il Maestro a offrire i tempi e le coordinate.
Intanto riconosciamo che quel filo di speranza che non si arrende di fronte alle brutture umane, ha alimentato la generosità di tanta gente che nella tragedia di Steccato di Cutro, nella continua accoglienza dei migranti operata dai volontari a Roccella come qui a Reggio, rivela un segno di risurrezione radicato nella nostra gente. L’incontro con il Risorto, l’esperienza con il Crocifisso Vivente non può che dilatare gli orizzonti del cuore umano. E chi ama, prima o poi Lo incontra e Lo riconosce nella carne dei fratelli come Presenza viva, che riarticola il linguaggio umano della vita.
L’annuncio di Maria di Magdala a Pietro e all’altro discepolo riaccende, così, la flebile speranza dei discepoli e mette in moto la vita: “correvano insieme tutti e due”. Si descrive quasi una corsa sinodale. Due soli occhi non bastano per interpretare il segno del sepolcro vuoto. Accanto alla ragione c’è bisogno del cuore, è necessario essere nell’amicizia con il Signore, come l’altro discepolo, che ha posato il suo capo sul petto del Maestro nell’ultima cena, è il discepolo che non ha un nome, ma ha gli occhi dell’amore, perché ciò che permette di riconoscere la presenza di una persona, nonostante la sua fisica assenza, è l’amore: e vide e credette.
Lui, il Crocifisso, non può che essere Risorto poiché ci ha amati sino alla fine, mentre noi, tutti noi eravamo peccatori, traditori, adulteratori dell’amicizia e della giustizia.
Gli occhi dell’altro discepolo, sono gli occhi della fede che hanno uno sguardo profetico sulla realtà, sanno interpretare i segni dei tempi resi sempre nuovi dalla presenza del Crocifisso, morto per amore, e pertanto Vivente.
Certo, l’evento pasquale del Signore Gesù rimane il mistero della fede, va oltre le nostre coordinate spazio temporali, ma sappiamo nella fede che è già innestato nella storia, nella nostra vicenda.
Il sepolcro vuoto è solo un rimando, non possiamo cercare lì il Vivente.
Lo riconosciamo infatti presente, proprio Lui nel suo vero corpo arso d’amore nel segno eloquente del pane eucaristico, il pane dei peccatori perdonati, perciò dei già risorti.

Ed è questa la differenza cristiana, non nell’essere della brava gente e anche generosa, ma se abbiamo almeno la consapevolezza credente di essere dei risorti. “Fratelli – ci esorta san Paolo – se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù”. Se cerchiamo “le cose di lassù”, cioè se almeno tentiamo di conformarci al Vangelo del Maestro, poiché nei suoi gesti, nelle sue scelte, nella sua parola, si narra in anticipo che cosa è risurrezione, o meglio chi è il Primogenito dei risorti, il vero Adamo, l’uomo creato a immagine di Dio a Lui totalmente somigliante: “chi vede me vede il Padre”.

Quel “se” posto da san Paolo, quasi come forma dubitativa, deve interrogarci sulla qualità della nostra fede. Se infatti, almeno in parte, abbiamo fatto esperienza del Crocifisso Vivente e dunque se anche noi abbiamo visto e creduto, allora dallo stile della nostra vita trasparirà anche solo un frammento la credibile possibilità del mondo nuovo della Risurrezione innestato in questa nostra storia. “Voi mi sarete testimoni fino ai confini della terra” (At 1,8). Chi non crede, chi non ha la nostra speranza, guardando noi nel quotidiano della nostra vita ecclesiale, sociale, professionale, educativa, amministrativa, politica, quali segni, quali frutti di risurrezione, di vita nuova, di vita altra, di vita evangelica può intravedere?
Ecco ci lasciamo con questo interrogativo, facendo nostra una preghiera di don Tonino Bello rivolta alla Vergine Maria:

“Santa Maria, donna del terzo giorno, donaci la certezza che, nonostante tutto, la morte non avrà più presa su di noi. Che le ingiustizie dei popoli hanno i giorni contati. Che i bagliori delle guerre si stanno riducendo a luci crepuscolari. Che le sofferenze dei poveri sono giunte agli ultimi rantoli. […] E che, finalmente, le lacrime di tutte le vittime delle violenze e del dolore saranno presto prosciugate come la brina dal sole della primavera”.
Amen.

+ Fortunato Morrone, arcivescovo