Prete da 50 anni, il 18 marzo, padre Michele ricorda la sua storia di grazia consegnata a Dio sin dall’infanzia. In una chiesa gremita di fedeli, la comunità di Villa San Giovanni partecipa commossa alla celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini e riconosce i semi di bene piantati nei lunghi anni di presenza di padre Bernardi in tutto il territorio dello Stretto, da Melia a Piale, da Acciarello a Villa… «Frequentavo la terza media e un giorno papà, stanco di sentirsi dire che ero un soggetto un po’ difficile – racconta commosso padre Michele – mi disse: “O ti comporti bene o torni a casa, perché c’è tanto da lavorare”. Allora il nonno mi chiama e fuori dalla stalla mi fa adagiare sulle sue gambe, pronunciando parole di tenerezza e aprendo orizzonti verso alte vette». Questo, come a dire: «se sarai sacerdote, lo sarai al posto mio; e lo sarai perché io sarò con te». «Non passa giorno – ricorda il sacerdote – in cui non dialogo con il nonno e con i miei cari per ritornare alle origini della chiamata, per attingere forza nei momenti di prova». La fede padre Michele l’ha respirata sin da bambino sulle ginocchia del nonno paterno, non come una pia pratica da seguire, bensì come «forza vitale portante, a cominciare dal perdono». «Eravamo nella miseria – racconta – una famiglia poverissima, non avevamo casa e mio nonno, un ardito soldato della prima guerra mondiale, viveva solo nella preghiera e per la preghiera. Dodici figli da crescere; e, lavorando ogni giorno in mezzo al fango di una risaia, calpestati dal fattore del padrone, il nonno afferrava i suoi figli e invocava il perdono». «Ricordo di aver sentito pronunciare spesso da mio nonno una frase – ammonisce padre Bernardi – che ancora oggi è per me motivo di forza: “State fermi, c’è Dio”». Un prete, con le mani sporche di terra e l’animo terso come la luce del sole in un mattino di primavera: è questa l’icona che raffigura al meglio padre Michele. Un prete ultrasettantenne, con l’esperienza di un padre e l’entusiasmo di un bambino, sempre in cerca della verità nella povertà. Saranno state le ore di preghiera vissute in quella stalla nell’entroterra padovano, sarà stata la presenza di grandi testimoni di fede o forse le umiliazioni della fame e della sottomissione ingiusta a padroni e despoti senza scrupoli, di certo, oggi ci si trova davanti a un sacerdote operaio, dall’animo francescano e dalla determinazione di chi vive senza etichette. «Le preghiere si recitavano sin dalle 4 del mattino nella stalla del padrone – racconta ancora padre Michele. Questa è la pietra miliare in cui tutta la mia persona è stata costruita. Bisognava essere scattanti, con la miseria non si poteva indugiare; ed entrato in seminario questo era diventato un difetto. La mia forza è lì, dove mio nonno avrebbe dato tutto pur di stare con Gesù». In 50 anni di sacerdozio tanti sono i ricordi che accompagnano il sacerdote di origini venete. Tre in particolare hanno segnato il suo percorso spirituale. Il primo è stato il distacco da Como dove era viceparroco e seguiva un oratorio con oltre 300 ragazzi. È chiamato a lasciare il nord per raggiungere la Calabria. «Ebbi la crisi affettiva più pesante della mia vita e arrivato qui continuai a piangere – racconta padre Michele». Il secondo momento delicato è stato contrassegnato dal tentato suicidio di un confratello, il 26 novembre 1974 – si salvò per miracolo. Da quel momento il sacerdote non ebbe più pace se non nella preghiera. Infine, il passaggio al clero diocesano lasciando la famiglia francescana. Iniziano gli anni dell’avventura nella comunità di recupero «Lena Ravenda» e i superiori chiedono al confratello di scegliere o il convento o la vita in comunità. Padre Michele ha scelto di donarsi senza riserve, custodendo sempre nel cuore la frase del nonno: «Non aver paura! Io pregherò sempre per te.
Gaetana Covelli