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Morrone ai nuovi sacerdoti: «Siate testimoni autentici della fede»

Sabato primo ottobre, nella Basilica Cattedrale di Reggio Calabria, don Vincenzo Attisano della parrocchia di San Dionigi in Catona, don Giovanni Zappalà di Santa Maria del Divino Soccorso e don Michele Tambellini della parrocchia San Pio X sono stati ordinati presbiteri per l’imposizione delle mani e la preghiera dell’arcivescovo di Reggio Calabria – Bova, monsignor Fortunato Morrone che, proprio giorno 1 ottobre, festeggiava 39 anni di sacerdozio. Insieme al presule crotonese, ha concelebrato anche monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, arcivescovo emerito di Reggio Calabria – Bova.

Riportiamo di seguito il testo dell’omelia integrale pronunciata dall’arcivescovo Morrone durante la celebrazione.

Un saluto cordiale a tutti voi popolo santo di Dio riunito in questa magnifica cattedrale per l’ordinazione presbiterale dei diaconi Giovanni, Michele ed Enzo.

Saluto e ringrazio in modo particolare le loro rispettive famiglie e la comunità parrocchiali di provenienza: Sant’Antonio Abate in Aci Sant’Antonio; Santa Maria del Giudice in Lucca e Basilica Madonna dei Poveri in Seminara inoltre la Comunità Pastorale Beato don Carlo Gnocchi (Varese).

Il capitolo 17 da cui è tratto il brano evangelico di questa domenica si sofferma su alcune problematiche della comunità cristiana le cui dinamiche sono quelle tipiche di gente che pecca, scandalizza con il suo stile di vita poco evangelico ed è a sua volta scandalizzata. Il peccato e il male tocca la vita dei credenti, nessuno è esente.

Il riconoscerlo è già fare un passo avanti e alla luce della parabola del padre misericordioso i cristiani sanno di essere peccatori, ma perdonati. La comunità cristiana tratteggiata dall’evangelista Luca è chiamata così ad un sano realismo: è inevitabile che nel suo seno avvengono gli scandali. Si tratta di persone che con il loro peccato impediscono ad altri di camminare nella fede.

La storia della chiesa d’altronde è densa di episodi scandalosi, antievangelici, perciò disumani. Non si tratta tuttavia di arrendersi all’evidenza del male operato dai credenti, quanto piuttosto di avere occhi aperti per non trovarci anche noi in situazioni riprovevoli: state attenti è il monito del Signore.

E tuttavia c’è un’azione che crea sconcerto agli occhi mondani: il perdono illimitato di Dio iscritto nella carne del Crocifisso quale regola fondamentale di vita ecclesiale: i peccatori sono accolti così come ci accoglie Dio nella sua misericordia, 70volte7. L’Eucaristia che voi Michele, Giovanni, Enzo siete chiamati a presiedere, è infatti celebrata anzitutto per i peccatori e tra questi ci siamo noi tutti. Solo da qui, memoriale del Signore, supremo gesto d’amore eccessivo, riparte ed è ricreata la vita degli esseri umani. Il pane eucaristico che voi spezzerete sull’altare ha il gusto del perdono e della riconciliazione fraterna.

Certo non è nelle forze umane perdonare il fratello peccatore che per 7 volte al giorno chiede misericordia. Gesù stesso con la sua predicazione inedita, fuori dagli schemi religiosi del tempo e anche dai nostri, è stato di fatto ostacolo alla fede di tanti compreso il Battista, e al dubbio pur legittimo del battezzatore: sei tu colui che deve venire?, Gesù gli manda a dire: “beato chi non si scandalizza di me” (Lc 7,23). La sua beata e dolorosa passione affrontata per tutti noi, annunciata più volte in anticipo nella sua salita a Gerusalemme, ha creato sconcerto e sbigottimento nei suoi stessi discepoli.

Di fronte al perdono implorato più volte nella stessa giornata dal fratello peccatore un senso di impotenza invade gli apostoli che si trasforma in preghiera: aumenta in noi la fede Signore. Sì, abbiamo bisogno di tantissima fede per essere alternativi a un mondo la cui logica mercantile adultera anche le relazioni affettive più belle.

Nell’invocazione orante degli apostoli, che facciamo nostra, la fede è riconosciuta come dono del Signore ma poi anche da noi è immaginata e praticata in senso quantitativo, potremmo dire religioso. Perciò aumentando processioni, incontri formativi, convegni e pellegrinaggi conditi con tanta devozione pensiamo di alimentare quella fede che dovrebbe motivare la carità e la speranza per procedere nel cammino ecclesiale.

Ma questo tipo di fede non smuove nessuna montagna, lascia le cose e le coscienze così come le ha religiosamente trovate. Può tuttavia soddisfare e appagare il nostro attivismo pastorale. Cari Enzo, Giovanni e Michele, fate attenzione a non cadere nella trappola delle prestazioni organizzative, poiché il movente può essere il riconoscimento delle vostre performances, il meritato applauso di quello che riuscirete a realizzare, magari dilatando il consenso tramite i social.

La fede non si nutre di attivismo spirituale e non si rivela nell’efficienza pastorale. Questa logica gratifica il nostro ego, ma ci svuota dall’interno, prosciuga lentamente la ragione ultima del nostro ministero e il valore della nostra stessa vita: seguire Gesù, vivere come Lui.

Quale fede anima perciò la vita dei cristiani e dunque dei presbiteri chiamati a guidare il cammino di fede delle nostre comunità?

Alla richiesta degli apostoli, aumenta la nostra fede, Gesù risponde con ironico realismo e con una smisurata fiducia nella capacità dei suoi: coraggio, la poca fede che avete, per quanto ammaccata sia, vi basta a rivoluzionare il mondo. È una constatazione della fede apostolica che riconosce nel Maestro di Nazaret il Signore risorto che cammina nella sua Chiesa e di cui l’evangelista Luca è membro vivo.

Il Signore Gesù ci esorta a vivere l’insegnamento che fino ad oggi abbiamo imparato da Lui, a immettere nel quotidiano della vita la piena possibilità della nostra attuale fede: certo è poca cosa ma ha la potenzialità inaudita racchiusa simbolicamente nel minuscolo seme di senape.

Carissimi questa parola del Maestro, ci rinfranca, è un’iniezione potente di sano ottimismo che fa respirare il cuore e ci spinge, per il dono della fede, ad avere stima e cura di noi stessi e di conseguenza delle persone che a ciascuno di voi, Giovanni, Michele ed Enzo vi saranno affidate. Avrete modo di constatare che l’insignificante e minuscolo grano di fede di tanti credenti, se condiviso, sprigiona una forza missionaria straordinaria e sorprendente tale da sradicare ciò che è consolidato da secoli nel cuore e nella prassi delle persone e riconvertirle alla novità del Vangelo. Una fede minuscola e quasi ridotta al lumicino se alimentata e sinodalmente partecipata nelle nostre comunità ha la capacità di aprire nuovi sentieri di vita, di trasformare la storia dei singoli e dei popoli, di ribaltare e innovare ciò che nella prassi pastorale della chiesa, logorata dal tempo, è destinata ad entrare nel bel museo del si è sempre fatto così.

Si tratta allora di quella piccola, fragile e bisognosa fede, non poche volte mescolata ad incredulità e accompagnata da dubbi, e che perciò sa di aver sempre bisogno di Dio e fidandosi di Lui comprende l’iperbole provocatoria e assurda del gelso piantato nel mare poiché “nulla è impossibile a Dio” o diversamente “tutto è possibile a chi crede”, a chi confida nel Signore più che sulle sue sole forze. «Colui il cui cuore veglia durante il sonno, mi fece capire che a coloro la cui fede è pari a un granello di senape, egli concede miracoli e fa spostare le montagne, per consolidare questa fede così piccola [ma per i suoi intimi, per sua Madre, non fa miracoli senza aver prima provato la loro fede]. (Manoscritto A, OCD 2001, 121).

Ma qual è questa possibilità, impossibile apparentemente per gli umani?

Qual è cioè il segreto nascosto nel microscopico semino di fede che se libera il suo potenziale energetico può attualizzare il big bang ricreativo del mistero pasquale di Cristo che offre speranza al mondo degli umani, dona forza e resistenza nei momenti di sofferenza e di fallimenti, non si arrende all’evidenza del male e scommette che l’ultima parola sui destini umani appartiene unicamente al Signore della storia?

In sostanza come sappiamo se la nostra fede è simile al granello di senape così ben testimoniato dai santi? Di quale fede, cioè, sta parlando il Signore?

Il servo della parabola con il suo doppio lavoro, nei campi e a casa, sa perfettamente che la sua vita appartiene totalmente al suo padrone e questi non si sente affatto obbligato verso il suo servo. La parabola, come altre, è cruda nel tratteggiare questi rapporti di subalternità disumani. In realtà Gesù non è il padrone della parabola, la sua vita in docile obbedienza al Padre, si è consumata piuttosto nell’essere Servo di Dio e degli uomini per amore. Io sono in mezzo a voi come colui che serve: è la definitiva definizione che da di sé nell’ultima cena, poco prima di morire. E noi suoi discepoli abbiamo accettato di seguirlo in questa via con questo stile di vita per ritrovare la nostra stessa identità credente e umana.

La misura e il segreto della fede è pertanto essere servo della stessa missione di Gesù. Come lui non siamo chiamati a vivere al modo del padrone egoista e sprezzante descritto nella parabola, ma come il servo la cui unica gioia è la consapevolezza di appartenere per grazia al Signore. In questa relazione di fiducia salta ogni calcolo contrattuale e di meriti accumulati sul campo magari per salire sui gradini di una possibile carriera ecclesiastica. Non siamo, non siete, chiamati ad essere annunciatori e ministri della Grazia? Quando il servo avrà terminato quello che gli era stato affidato non potrà dire: adesso servitemi, esigo il giusto compenso. Dirà piuttosto grazie Signore che mi hai offerto la possibilità di servirti nelle persone che mi hai affidato per custodirli nel tuo nome, così come tu, Servo per amore, continui a custodirci nella forza del tuo Spirito d’amore.

Siamo dunque servi senza rivendicazioni e senza pretese, la nostra è una donazione libera e liberante, totale e responsabile, casta, che non conosce premi e ricompense contabili, che sa fare spazio e lasciare il posto del ministero quando il Signore lo chiede per il bene della Sua vigna e per la gioia e la serenità della nostra vita, unicamente votata alla causa del suo Vangelo.

Ecco carissimi la sostanza della fede, questa fede configuri eucaristicamente la vostra identità ministeriale, in questa fede ecclesiale accompagnerete come guide e testimoni la porzione del santo popolo di Dio che la Chiesa vi affida.

Maria santissima, serva del Signore, donna dell’ascolto credente e madre della consolazione, vi aiuti a custodire, mediante lo Spirito che abita in voi, il bene prezioso che vi è stato affidato. Amen.