2. Attorno al trono dell’Agnello ci ha convocati idealmente San Giovanni. Con la seconda lettura egli ci ha invitati ad elevare la nostra lode a Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti. La Chiesa, proponendoci questo testo, ci invita a celebrare nell’ottica della consapevolezza dell’amore compassionevole di Dio, sia il sacerdozio di Cristo, condiviso dai presbiteri in unione con il proprio vescovo, sia la benedizione e consacrazione degli oli. L’agnello è stato immolato per tutti noi, perché fossimo redenti e ottenere così quel sacerdozio battesimale, che ci vuole idonei per entrare in comunione con Dio. Ma l’agnello è stato immolato soprattutto per noi, carissimi sacerdoti, perché partecipassimo al suo ministero di mediatore di salvezza presso il Padre.
3. La chiamata a partecipare alla mediazione salvifica è stato un atto d’amore di Cristo, rivolto a noi nella forma più disparata, e da tutti noi accolto, con altrettanto amore. Tra i tanti gesti che noi compiamo in questa celebrazione, quello della rinnovazione delle promesse sacerdotali, è tra i più significativi. Non un atto, chiuso nel contesto di precetti giuridici, ma una risposta d’amore a chi per primo ci ha chiamati per amore. Siamo ancora persuasi di ciò, carissimi sacerdoti? O qualcosa si è affievolito in noi? Il nostro amore al Signore è ancora fresco e generoso?
4. Miei cari, siamo ancora convinti che il nostro sacerdozio, con gli impegni che comporta, si muova pienamente e totalmente nel contesto dell’amore verso Dio e le persone a noi affidate? La Chiesa sta registrando troppe indecisioni e compromessi in questi ultimi anni, certamente ingigantiti dai media, ma veri. Essi dimostrano che si può vivere il sacerdozio nel compromesso, di qualunque genere esso sia; si può vivere in un rapporto quasi sindacale di lavoro offerto, eseguito e retribuito, senza quello afflato di amore, sorretto dalla carità pastorale, che ci permette di giocarci la vita per il ministero di salvezza.
5. La vocazione è un dono di amore che si ripaga con amore fedele. Non è una proposta di lavoro regolata da leggi, che trascureremo quando ci sentiamo stanchi e annoiati. Il celibato non è una legge che regola il nostro rapporto di lavoro con Dio e con la Chiesa, pronti a superarlo e a lasciarlo quando riteniamo unilateralmente finito il rapporto. Sacerdos in aeternum! Come Cristo: sacerdote misericordioso e fedele, sino alla croce.
6. Miei cari, attenzione a una mentalità che inizia a serpeggiare nella Chiesa, nel contesto del relativismo imperante, nel quale prevale il provvisorio ed è possibile discutere sempre e tutto, anche le decisioni più solenni. Mi rivolgo soprattutto a voi cari seminaristi che vi state formando per scelte solenni, eroiche e fedeli, ma il monito è per tutti, anche per me: attenzione, non mostra coraggio e forza d’animo chi interrompe la propria consacrazione e torna indietro. Non esiste una medaglia al merito per chi ritorna sui propri passi. Il coraggio sta invece nel lottare e nel fuggire le occasioni prossime di infedeltà; il coraggio sta nel ricominciare sempre, nel non smarrire gli ideali, nel non fare prevalere mai il proprio utile sul dono della vita, sul quale si fonda la nostra vocazione.
7. Oggi, siamo qui a ripetere il nostro sì, a purificare sempre più le nostre intenzioni, a riaffermare la nostra fedeltà al Signore, a focalizzare il nostro sguardo su di lui, sul modo come lui è stato fedele al Padre. Oggi siamo qui a riposizionare il timone della nostra vita sulle coordinate del rapporto tra Gesù e la sua ora. Nel prefazio pregheremo: Tu proponi loro (cioè a noi presbiteri) come modello il Cristo perché donando la vita per te e per i fratelli, si sforzino di conformarsi all’immagine del tuo Figlio, e rendano testimonianza di fedeltà e di amore generoso.L’amore generosi è la fedeltà senza compromessi sino alla morte.
8. Segno dell’amore sono i Sacramenti, donatici da Gesù perché possa continuare la sua azione salvifica. Perciò collochiamo la benedizione degli oli nel contesto dell’amore che Dio ci ha manifestato nel Figlio morto in croce. Il pensiero va al buon samaritano della parabola, che si china con amore sul malcapitato, versando vino per purificare le ferite e olio per lenirne il dolore e il bruciore.
9. Cari sacerdoti, leggete in questa immagine del samaritano le modalità della nostra azione pastorale, lo stile del nostro modo di essere pastori. Noi dobbiamo testimoniare la compassione di chi si inchina sulle ferite dell’uomo versandovi l’olio della dolcezza e della misericordia. Non a caso, penso, Gesù abbia scelto l’olio per simboleggiare la sua azione sacerdotale attraverso alcuni sacramenti: il sollievo agli infermi, la fortezza nel battesimo, la consacrazione nella cresima e nel sacerdozio.
10. Facendo memoria di quell’ultima cena, in cui gli Apostoli sperimentarono l’amore del Maestro sino alla fine, noi ci interroghiamo ancora sul senso di quel sino alla fine. Ogni volta che lo facciamo, si rivela a noi l’atteggiamento pastorale di Gesù nei nostri confronti: l’amore senza misura per il quale si è accostato all’uomo, insegnando così a noi il volto e il valore della carità pastorale.
11. Questa sera noi ricordiamo la grande lezione di Gesù: li amò sino alla fine. Se il nostro ricordo è vivo e attento, sperimenteremo la stessa rivelazione avuta da Giovanni al momento del colpo di lancia. Egli si rese conto che quel Crocifisso era la vera immagine di Dio apparsa all’uomo, e credette in questa immagine, che la chiesa avrebbe dovuto proporre all’uomo lungo i secoli, per parlare a lui il linguaggio della salvezza. Ecco perché i Crocifissi dominano nelle nostre Chiese.
12. Cari sacerdoti, non resistiamo a questa rivelazione, della quale siamo protagonisti anche noi.
Abbracciamoci l’un l’altro nel segno della comunione sacerdotale, perché l’uomo creda.
Abbracciamo le nostre comunità nel segno del servizio amorevole.
Abbracciamo il nostro Ministero nel segno dell’amore che accoglie e che è paziente.
Abbracciamo le difficoltà nel segno dell’attesa e della speranza dei frutti.
Abbracciamo la croce nel segno della vita che rinasce dalla morte.
Abbracciamo quanto il Signore ci chiede nel segno della fede e del dono, come quando ci ha fatto capire che ci chiamava alla bellissima avventura del ministero sacerdotale.
Allora abbiamo visto Lui e il suo amore e gli abbiamo creduto, e ci siamo posti in cammino.
Siamo capaci di rivederlo anche oggi e di credergli, scommettendo ancora su di lui, senza voltarci indietro?
13. Grazie, carissimi sacerdoti, per quanto donate nel servizio pastorale e nelle altre mansioni che vi sono state affidate in Curia e nell’insegnamento. Grazie a voi diaconi, consacrati e consacrate, seminaristi. Grazie a voi operatori pastorali ad ogni livello dell’azione pastorale della Chiesa: dal servizio parrocchiale più umile a quello più impegnativo nei vari servizi che la comunità rende sul territorio: dal servizio della carità, alle varie forme di apostolato con ragazzi, giovani, famiglie, ammalati ecc. Grazie voi laici impegnati nei servizi più vari dell’apparato diocesano: in curia, nelle varie consulenze legali ed economiche, nelle strutture di carità, negli incarichi di insegnamento ecc. Cresciamo nell’unità, nel servizio e nell’amore.
E pregate per me.
+ p. Giuseppe Fiorini Morosini