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Dobbiamo chiudere la porta sul vociare esterno: troppo chiasso, troppi rumori attorno a temi così vitali e capitali per il futuro della nostra società. Un accavallarsi di voci non sempre autentiche, non sempre libere, non sempre sincere. Non vi dico nulla di nuovo se vi esorto a stare attenti alle manipolazioni che i centri di poteri, occulti e meno occulti, tentano di fare delle vostre coscienze attraverso i media”.
Come pastore mons. Morosini invita a “fare leva sulla vostra libertà di adesione alla Chiesa che rappresento e della quale sono guida. La fede è libertà, anzi – spiega – la massima espressione della libertà dell’uomo. Ma proprio perché espressione di libertà, essa, una volta accolta ed accettata, esige fedeltà e coerenza”. La religione, evidenzia, non deve essere “un ufficio burocratico al quale rivolgersi per la soddisfazione di alcuni bisogni religiosi, legati al fattore culturale: “se avete scelto di credere e di aderire alla fede e alla chiesa cattolica, dovete agire di conseguenza”, scrive il presule che, richiamando i temi della discussione oggi in parlamento evidenzia che “non possiamo ignorare che Gesù nel Vangelo ha affermato il valore naturale del matrimonio, fondato sull’amore di un uomo e di una donna: un amore totale, esclusivo, indissolubile, aperto alla procreazione. Posizione ribadita da Papa Francesco e dal Patriarca ortodosso di Mosca Kirill. Chi professa la fede cristiana deve accettare tutto questo. Perciò tutte le altre unioni non possono essere accettate, se equiparate al matrimonio”. “Non basta dire – scrive – che sono fondate anch’esse sull’amore di due persone. Il matrimonio per essere tale deve essere fondato su di un amore fecondo, capace cioè di procreare la vita. E non si può dire che è egualmente fecondo, se i contraenti, per avere figli, si affidano a pratiche riproduttive che sono contro natura e non esprimono il valore dell’intimità dell’amore, che rende capaci l’uomo e la donna di collaborare con Dio alla creazione della vita”.
Non c’è nulla da “eccepire che lo Stato legiferi in tal senso, regolando i rapporti tra persone che vogliono mettersi assieme”; ma va affermato con “chiarezza che questo riconoscimento non deve equiparare, in alcun modo e per qualunque titolo, tali unioni al matrimonio. Ciò non vuol dire negare diritti alle minoranze. Queste, però, non possono rivendicare diritti che li pongono fuori dell’ordine della natura”. E poi l’adozione dei figli: “noi crediamo che ad ogni bambino che nasce deve essere garantito un padre e una madre”. “Sappiamo – continua il presule – che per disgrazia o per morte di uno dei genitori, un bimbo si possa trovare orfano di uno dei due genitori o di entrambi, e quindi affidato ad una o più persone, che possano prendersi cura di lui. Ma i casi eccezionali non devono essere presi a parametro per decidere di annullare lo scorrere ordinario della vita. Né si dica che è la scienza psicologica a sostenere come legittima e senza danni per il bimbo l’adozione da parte di due persone dello stesso sesso. Ci sono tanti altri, che, in nome della stessa scienza e con studi ben articolati, dicono il contrario”.
Nella lettera il presule calabresi si sofferma poi sulla maternità e paternità surrogate evidenziando che una volta dichiarata l’unione tra due persone dello stesso sesso alla pari del matrimonio naturale il rischio è la “rivendicazione” anche del diritto di avere un figlio, “ritornando alla natura della relazione uomo-donna, ma chiedendo la disponibilità materiale a pagamento o meno: l’utero in affitto, le banche dei semi. “Pensate che l’utero in affitto, la maternità surrogata ecc. siano moralmente accettabili dal punto di vista naturale? Pensate che la dignità della donna sia salvaguardata? Pensate che la sacralità della vita umana sia rispettata?”, si chiede il presule che esiste “non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è moralmente lecito. La centralità della persona umana, la sua dignità, il suo ‘benessere’ esistenziale devono essere salvaguardati sempre”.