Il testo si apre con le domande relative ai cristiani e alla nuova fede poste al pagano Diogneto, chiamato a diventare «amico del Verbo». L’autore si meraviglia di Diogneto, uomo “vocato” ad una vita nuova e straordinaria, scandita dal discernimento e da scelte coraggiose; una vocazione cadenzata dalla saggezza e dalla cura nella ricerca e nell’approfondimento della fede, che fugge gli idoli del mondo e le superstizioni inconsistenti. La vita nuova di Diogneto si declina nell’incarnazione dell’amore reciproco; nell’appartenenza ad una «nuova stirpe» che inventa nuovi modi di vivere capaci di andare controcorrente e confrontarsi con le “mode del momento”.
Diogneto è l’uomo del desiderio sincero capace di “farsi ascolto” per dare qualità alla propria chiamata. La vocazione di Diogneto è quella di essere discepolo di una dottrina nuova che richiede, non solo una lettura esteriore delle realtà contingenti, ma soprattutto una profonda e intelligente interpretazione della sostanza e della forma della realtà: «Purìficati da ogni pregiudizio che ha ingombrato la tua mente […] e fatti uomo nuovo […] per essere discepolo di una dottrina nuova come tu stesso hai ammesso» (Diogneto II, 1).
Il mittente ricorda al neofita l’importanza di fuggire da una vita fatta di vanità, lontana dalle logiche perverse del mondo, che combatte la costante tentazione del formalismo e dell’esteriorità religiosa (confronta Diogneto IV, 6). Gli uomini chiamati a vivere la fede in Gesù Cristo «testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale» (Diogneto V, 4), con il quale sono guidati a vivere la vita quotidiana, riscoprendo la vocazione di cittadini responsabili e attivi. Anche Diogneto – se vorrà vivere in profondità la sua chiamata – declinerà la “legge” dell’Vangelo con la generosità della condivisione, l’esclusività dell’amore e l’accoglienza della vita. Se vorrà realizzarsi, dovrà controbattere le logiche del mondo rispondendo al male con il bene e – accettando di essere incompreso nella verità e nella bontà del suo vivere – avendo sempre davanti l’orizzonte della «città del cielo» (Diogneto VI, 2).
«A dirla in breve – dice ancora l’apologia – come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra» (Diogneto VI, 1). È questa l’espressione più alta che caratterizza questo scritto cristiano. La vocazione del cristiano nella storia consiste proprio in questo: “essere nel tempo” per orientare le realtà umane verso un fine di bene, di bello e di buono. Sebbene nello scritto viene presentata l’antitesi tra la dimensione “materiale” e “spirituale” della vita, i cristiani sono invitati a vivere responsabilmente il tempo e lo spazio perché «essi sostengono il mondo» (Diogneto VI, 7). Diogneto dovrà avere la certezza che il suo modus vivendi contagerà altri uomini «perché si renda manifesta la potenza di Dio» (Diogneto VII, 8). L’uomo “chiamato” diventa discepolo degli apostoli, maestro delle genti ma soprattutto «amico del Verbo» dal quale imparare saggiamente ogni cosa nella verità: grazia che si manifesta al mondo; novità nei cuori dei fedeli; fecondità per la Chiesa che continua a donarsi a quelli che la cercano (confronta Diogneto XI).