Durante la celebrazione, è stata fatta memoria dell’istituzione dell’Eucarestia e si è rinnovato il rito della Lavanda dei piedi. Qui di seguito vi proponiamo l’omelia integrale dell’arcivescovo Morrone.
Messa in Coena Domini, l’omelia dell’arcivescovo Fortunato Morrone
Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, “oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Così, questa mattina nella messa crismale abbiamo ascoltato da Gesù la sua prima e solenne manifestazione pubblica nella sinagoga di Nazaret.
In quell’oggi, l’oggi di Dio, Gesù proclama l’anno di grazia, di misericordia del Padre suo e lo annuncia per i poveri, i prigionieri, i ciechi e gli oppressi: da questi si avvia l’avventura della chiesa, popolo di peccatori perdonati in cammino nel tempo, di viandanti, di mai arrivati in cerca di una patria, di una casa, di una famiglia umana migliore il cui “pegno della gloria futura” è già qui su quest’altare, nel pane, frutto della terra e del sudore della nostra fronte, pane eucaristico che ancora una volta il Signore spezzerà per noi e per tutti.
Nel pane, elemento base per nutrirsi, è racchiuso il mondo umano fatto di semina, attesa, raccolta, lavoro di trasformazione per un cibo condiviso a mensa dove l’esistenza si fa racconto e memoria, progetto e speranza. L’Eucaristia investe e assume tutta questa “umanità” come transustanziata dalla potenza dello Spirito che rende il Crocifisso Risorto, Agnello della nostra Pasqua accessibile e riconoscibile nel Suo corpo glorificato come vero cibo che nutre la vita dentro e oltre il limite della morte.
Fin dalla primissima ora la comunità cristiana si distingueva e si identificava non soltanto nell’ascolto delle Scritture, comune all’ambiente giudaico sinagogale da cui essa emerge, ma nella fractio panis, così come Paolo ci ha testimoniato nella 1 Cor.
Il memoriale della Cena del Signore è per la comunità cristiana Parola e Sacramento insieme: Gesù il Crocifisso risorto è presente e ci parla, per la potenza dello Spirito del Padre, nel gesto e nel simbolo del pane spezzato. Nel pane eucaristico, infatti è racchiusa e compendiata tutta la sua esistenza culminata nella crocifissione, come ultimo tra gli ultimi. E poiché Dio si è rivelato in tutta la vicenda di Gesù, mettendosi chiaramente dalla sua parte, nel memoriale del pane spezzato i discepoli del Signore intendono prendere parte alla sua stessa vicenda, imitando il Maestro che non ha esitato a dare la vita perché il mondo viva.
“Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finchè egli venga” (1Cor 11,26). È la consegna apostolica primigenia, la trasmissione originaria, la Tradizione fondante la vicenda della Chiesa, come ci ricorda ancora l’Apostolo Paolo: “ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (1Cor 11,23).
Da qui allora l’invito toccante del Signore: “fate questo in memoria di me”. Memoria, racconto, presenza e testimonianza sono un tutt’uno. San Paolo ci ricorda pertanto che l’Eucaristia che celebriamo è la cena del Signore da Lui desiderata per nutrirci alla sua mensa, quella che il Padre ha disposto per Suo Figlio nel suo Regno (Lc 22, 29-30). È il banchetto del Regno che si costituisce intorno a Gesù con i suoi: “ho desiderato ardentemente mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione”, così san Luca (22,14).
Ebbene l’assemblea eucaristica è tale perché è radunata intorno alla mensa del Signore che nel pane spezzato e condiviso si configura in relazione con il suo Signore, in comunione con il suo destino di morte e resurrezione: facendo l’Eucarestia, la Chiesa realizza sé stessa (cfr. De Lubac, Meditazione sulla Chiesa…). In quanto allora la chiesa è assemblea nel banchetto eucaristico trova la sua forma comunionale nell’essere il Corpo del Signore, così come san Paolo ancora ci ricorda “Poiché c’è un solo pane, noi pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1Cor 10,17). E la Chiesa ci fa pregare nell’orazione dopo la comunione della V domenica di quaresima con queste parole: “Dio onnipotente, fa’ che rimaniamo sempre membra vive di Cristo, noi che comunichiamo al suo Corpo e al suo Sangue”.
Quando dunque celebra l’Eucaristia la Chiesa assume la fisionomia del Suo Signore, ne diventa il Suo corpo: voi ricevete quello che siete (sant’Agostino). Ci ricorda allora papa Francesco «L’Eucaristia è farmaco efficace contro le nostre chiusure. Il Pane di vita, infatti, risana le rigidità e le trasforma in docilità. […] Ci dona il coraggio di uscire da noi stessi e di chinarci con amore verso le fragilità altrui. Come fa Dio con noi» (Angelus 6 giugno 2021).
Coloro che come credenti partecipano al banchetto eucaristico, sono chiamati pertanto ad essere in comunione gli con gli altri: in un mondo lacerato da divisioni mortifere, la Chiesa è convocata e inviata per essere sacramento di unità per la tutta la famiglia umana.
Nel memoriale eucaristico la Chiesa confessa infatti, come testimonia il Vangelo di Giovanni, che Gesù è stato crocifisso per radunare i figli di Dio dispersi dal male del peccato. Perciò, annunciare la morte del Signore nella celebrazione eucaristica implica per tutti i credenti essere nel mondo tessitori di riconciliazione e di comunione, costruttori di pace, in sostanza essere con la propria vita memoriale del mistero pasquale del Signore.
I cristiani sono persone chiamate a vivere nella comunione con i fratelli di fede e lavorano nel mondo per essere nel nome del Signore portatori del soffio vitale dell’Amore nel quotidiano del vivere sociale, economico, educativo, lavorativo, politico. Il pane eucaristico, compendio del Vangelo del mondo nuovo inaugurato dal Risorto, è spezzato per la moltitudine perché a tutti sia offerta la possibilità di attingere al banchetto della vita eterna.
La missione della chiesa di conseguenza, parte da questa mensa eucaristica e qui ritorna portando il carico delle “gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto” (cfr. GS 1).
L ’Eucarestia rende in sostanza la Chiesa partecipe della stessa missione di Cristo, il Servo del Signore, l’Agnello del nostro riscatto, venuto in questo mondo per rivelare l’Amore più grande che il Padre nutre incondizionatamente per tutti (cfr Gv 3).
La lavanda dei piedi è allora la visualizzazione scandalosa e provocante dell’Agape divina, dell’Amore estremo di Dio per noi in Gesù: “li amò sino alla fine”.
L’Amore più grande, di cui l’Eucarestia è il sacramento, capovolge la logica di questo mondo mondano e disumano per rendere divine le relazioni umane, affrancandole da ogni autoreferenzialità diabolica. L’Amore più grande che non teme di consegnarsi, e dunque di donarsi, ben sapendo che i suoi, noi insieme a Pietro e a Giuda, lo tradiamo, lo sconfessiamo più di una volta mentre lui, il Maestro e Signore, continua a chiamarci amici.
Lui e solo Lui mantiene il suo amore fedele, per sempre, in eterno. Noi osiamo allora pregare: perdonaci come noi perdoniamo, consapevoli che il tradimento dell’Amore è dietro l’angolo. Perciò senza tante rigidità e ipocrisie, proviamo a lavarci i piedi gli uni gli altri, accogliendo con stupore e rossore l’acqua che il Maestro ha versato 70volte7 sui nostri piedi.
Si, siamo di fronte all’Amore più grande che si vendica dei nostri peccati succhiandoci il veleno del male con l’antidoto della misericordia e di cui l’Eucarestia è il simbolo reale più eloquente.
Il pane eucaristico è allora per i credenti che confessano di essere sempre al di sotto della consegna di Gesù: vi ho dato l’esempio, amatevi come io vi ho amati. Fate questo in memoria di me. Il pane eucaristico non è per i puri, i giusti, gli arrivati: Gesù non ha banchettato forse con i peccatori e le prostitute?
Ecco allora la profondità dell’incipit del Vangelo di questa sera: “li amò sino alla fine”. Si, ma proprio nella notte in cui veniva tradito. E la lavanda dei piedi comincia proprio da colui che, rappresentando tutta la Chiesa, lo avrebbe rinnegato tre volte.
Lasciamoci lavare i piedi dal Signore senza orgogliose resistenze interiori e impariamo da Lui ad amarci senza riserve e pregiudizi, nell’accoglienza e nel perdono reciproco poiché nel profondo del nostro cuore, pur con tutte le sue ferite e contraddizioni, cova il fuoco dell’amore, il desiderio umanissimo di essere accolti e riconosciuti, e di volerci bene gratuitamente.
Donaci Signore il tuo Spirito che ci aiuti ad essere grandi nell’amore come te che stai in mezzo a noi come Colui che serve (cfr. Lc 22,27). Amen!