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La vera guarigione è ascoltare le grandi opere di Dio

È facile comprendere allora come una persona sorda possa sviluppare meglio la profondità dello sguardo e, se è anche muta, l’espressività del volto. Queste considerazioni già suggeriscono come nell’uomo vi sia la capacità di andare oltre i propri limiti, tuttavia il vangelo dice molto di più. Qui l’handicap non è solo fisico ma anche spirituale. Siamo in terra pagana, per sua natura inospitale alla fede, e vi è una persona sordomuta, ossia incapace di ascoltare la Parola. È dunque un uomo perlopiù escluso sia dal contesto sociale sia da quello religioso, impossibilitato ad udire le grandi opere che Dio ha compiuto nel corso della storia. Non è il malato a chiedere la guarigione, anche perché non è nella possibilità di comunicare efficacemente, ma qualcuno lo fa per lui, domandando a Gesù il gesto dell’imposizione delle mani. È chiaro come il maestro sia considerato un taumaturgo e gli venga chiesto un intervento terapeutico simile a quello dei tanti guaritori che circolavano in quel periodo. Gesù però non si limita ad accogliere quanto perorato da gente mossa da un sincero senso di compassione; va oltre e, conducendo il sordomuto in disparte, ripristina quel silenzio originale in cui il Padre compì l’atto creativo. «Gli pose le dita negli orecchi», come un artigiano che dà il tocco finale al suo manufatto, poiché Dio non solo crea, ma cura anche i dettagli di ogni sua creatura: un invito per noi a prestare maggiore attenzione alle sfumature del nostro dire e fare, mettendo al bando ogni grossolanità che deturpa la bellezza anche delle cose sacre. «Con la saliva gli toccò la lingua», evocando il respiro di Dio, cioè lo Spirito che si condensa per poter bagnare quel palato arido e incapace di produrre parole dolci come frutti di stagione. Cristo, «guardando quindi verso il cielo», con tale riferimento al Padre introduce un criterio decisivo in ogni esperienza che vogliamo sia per noi vivificante: il principio dell’alterità, anima di ogni guarigione. La relazione col Padre e quella squisitamente umana coi fratelli, che si compie non in teoria ma con la mediazione dei corpi, è il cuore di ogni risanamento. Apertura a Dio, agli altri, alla propria storia e alla promessa di vita che ci sta davanti, sembra gridare Gesù. La chiusura è morte, mentre il contatto con l’altro da me, fino a lasciarmi impegnare, scomodare e addirittura contaminare dal prossimo, è l’unico modo per capire e maturare la mia identità.

Occorrono poi altri due passaggi perché l’opera di liberazione si compia. Bisogna camminare in questa via nuova, esercitare quelle facoltà che Cristo mi ha restituito, perché se ad esempio, dopo aver ricevuto il perdono dei peccati non mi cimento nella carità fraterna, il dono di grazia può rimanere infruttuoso. È necessario ascoltare e lodare il Signore per tutto il bene che Egli ha operato in noi, altrimenti resteremo degli ingrati, incapaci di far circolare l’amore ricevuto. Ancora, la storia del sordomuto guarito ci insegna che il dono personale deve diventare patrimonio di tutta la Chiesa, come accade alla fine del nostro testo, in cui il miracolo costituisce lo spunto per proclamare con stupore il vangelo. Dio «ha fatto bene ogni cosa», cura i particolari, apre l’uomo alla relazione autentica con sé e con gli altri. Domandiamoci quali siano le nostre chiusure, tra le quali in questo nostro tempo spicca quella verso Dio stesso. Molto spesso ci troviamo davanti a persone totalmente indifferenti a tutto ciò che anche lontanamente allude alla presenza di Dio; è come se udissero una lingua che non conoscono. In effetti, quando nel mondo senti parlare infinite altre lingue, finisci per imparare quella più facile, tralasciando quella essenziale o, peggio, quando un bambino cresce senza aver sentito mai parlare di Dio, come può essere in grado di comprendere quelle parole che lo aprono a tale relazione? Facciamo carico dell’urgenza dell’annuncio e anche noi ‘faremo bene’ la nostra parte.