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All’inizio del capitolo cinque di questa lettera l’apostolo ci fa capire che per il cristiano la libertà ha un riferimento concreto che è Cristo, è Lui, infatti, che ci ha procurato e dato questo regalo. In un secondo momento, al versetto 13, parla della libertà come una chiamata, ed è questo punto di vista che manca alla riflessione del mondo in cui viviamo. Dire che la libertà è una chiamata significa ammettere che c’è Qualcuno che chiama, che la liberta è un progetto che richiede di essere realizzato nello spazio e nel tempo che si dà tra la chiamata e la risposta. Qualcosa che qualcuno continuamente ci dona e che noi possiamo accogliere nella misura in cui riusciamo a rimanere in essa e a custodirla attraverso una risposta adeguata.
Anche le altre due letture della liturgia di questa XIII domenica del tempo ordinario ci fanno notare come questa coscienza fosse ben presente nell’uomo biblico, sia, il brano dell’Antico Testamento sia quello del Vangelo, infatti, fanno riferimento al valore assoluto della chiamata. Il primo libro dei Re raccontando la vocazione di Eliseo descrive la chiamata come espressa volontà di Dio, nella sua modalità il brano non si ferma a narrare niente di colui che è vocato se non il suo nome e la sua paternità, semplicemente viene affermato che deve prendere il posto di Elia.
Il profeta stesso non deve ricercare la persona chiamata, non deve verificare le sue attitudini e neppure valutare le difficoltà, in questo modo il brano si concentra a descrivere l’assoluta sovranità di Dio a cui tutti devono obbedire e adeguarsi.
I gesti di Elia ed Eliseo confermano questa lettura, il mantello che Elia getta su Eliseo descrive l’obbedienza l’esecuzione del comando di Dio, il congedo particolare di Eliseo dalla sua gente manifesta la comprensione e l’accoglienza di ciò che ha detto Elia: “Va e torna, perché sai bene cosa ho fatto di te”, “Si alzò e segui Elia”. Il gesto di Eliseo descrive inoltre la risposta alla chiamata, perché egli sa che la sua vita è cambiata non nel momento in cui compie questo gesto, ma nel momento in cui Elia gli ha gettato sopra il mantello, perché in quel momento Dio si rivolto a lui e gli ha parlato.
Il brano evangelico allarga ulteriormente il concetto di “chiamata”. Tutta la pericope scelta e la parte successiva del vangelo di Luca vanno lette alla luce dell’informazione che il narratore dà all’inizio: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, egli si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri.”. C’è un tempo che solo il Padre può garantire e gestire, in questo tempo il Figlio è entrato e ha preso il corpo preparato per fare la volontà di colui che l’ha mandato, attraverso la piena corrispondenza a questa chiamata libera il tempo come opportunità e lo spazio come modalità.
La parte restante del racconto si sviluppa attraverso la seconda di queste categorie, in un primo momento lo spazio sembra appartenere all’uomo, che se ne fa proprietario e lo gestisce, ma in realtà attraverso questo espediente il narratore sta invitando il lettore a saper prendere le distanze.
Il rifiuto dei Samaritani di accogliere Gesù suscita due reazioni diverse: quella degli uomini, i discepoli, che vorrebbero usare la potenza di Dio per acquisire quello spazio punendo coloro che hanno impedito il passaggio, e quella del Figlio dell’uomo che vede nel rifiuto la possibilità di trovare un altro “spazio”.
Ed è proprio in questo “spazio” che viene data l’opportunità dell’incontro, la seconda parte del brano, gioca lo spazio come luogo d’incontro e di sequela, anzi serve a definire ulteriormente il concetto di sequela. Alla disponibilità del tale di seguirlo “dovunque tu vada”, Gesù risponde che la sequela non è caratterizzata da un luogo: “Il Figlio dell’uomo non sa dove posare il capo”, ma da uno “Spazio” personale e relazionale, questo è definito dalla persona di Gesù da cui nasce la relazione attraverso il “seguimi” e con cui può continuare il cammino attraverso il “Lascia, va e annuncia”. Un cammino che ha come meta il regno di Dio, e come unica attitudine richiesta la capacità di guardare le cose che fa colui che sta davanti e ci precede, perché come dice bene il salmista: “Sei tu, Signore, il mio unico bene”. Colui che con la mano all’aratro guidava i suoi buoi, con un aratro diverso si fa guidare da Gesù senza guardare indietro, perché nessuna cosa rimasta indietro può scalfire il bene che è Gesù.