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La storia di Daniel, quando la fede vince tutto…anche la morte

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Un ragazzone alto, con lo sguardo intenso e gentile, timido ma risoluto, il sorriso spontaneo e sereno: così Daniel appariva quel giorno, nei suoi 19 anni vissuti a crescere troppo in fretta, portando sulle spalle robuste un carico maggiore dei suoi coetanei. Suo padre era morto quand’era ancora un bambino e dalla Costa d’Avorio dov’era nato, era tornato con la madre nel piccolo villaggio in Togo della sua famiglia. La voglia di fuggire ha alimentato i sogni della sua precoce adolescenza, l’ha spinto a lasciarsi tutto alle spalle per cercare fortuna sulle rotte della speranza: da una sponda all’altra della sua vita, Bigamsua è diventato Daniel, ed il nome biblico che si è scelto, ha messo il sigillo alla sua nuova identità.
«Presto ha mostrato il suo interesse per la fede cristiana» – racconta padre Bruno Mioli, che l’ha seguito da vicino nella preparazione ai sacramenti. La sua casa e la sua famiglia sono diventati la parrocchia e i volontari del Centro, qui si sentiva accolto e amato, e da parte sua ce la metteva tutta per studiare e imparare un mestiere. E poi tutto è successo troppo in fretta. La malattia che in silenzio aveva iniziato già a divorare la sua robusta fibra, si è manifestata velocemente, prima ancora di avere un nome ed una diagnosi. In breve tempo ci si è resi conto che il processo era inarrestabile ed incurabile e che la salute di Daniel sarebbe stata seriamente compromessa, per cui – racconta padre Bruno – «il 3 giugno scorso nella splendida cornice del Monastero della Visitazione di Ortì, dove era salito con un folto gruppo della comunità parrocchiale, Daniel è stato ammesso ufficialmente al catecumenato in vista della successiva ammissione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, avvenuta sempre in giugno. Veniva intanto ricoverato all’Hospice per le cure alternative e sedative dei dolori causati dal tumore estesamente diffuso». Ha vissuto qui il tempo di preparazione e maturazione nella sua scelta di fede, i riti di purificazione e illuminazione interiore della sua prima e ultima “quaresima” di conversione, ha compiuto qui, nella sofferenza della sua carne, attraverso l’accettazione di un destino che non aveva immaginato.
«Ha fatto un cammino straordinario – aggiunge suor Manuela – per il modo con cui ha accolto la sua malattia, in lui una grande preparazione interiore: non l’ho mai visto maledire nè ribellarsi. Il giorno in cui ha ricevuto la sua condanna alla morte ha risposto: sono nelle mani di Dio». Era il 23 settembre quando, a fatica e sorretto dagli amici, avendo accanto suor Manuela e Pasquale Sicilia, il suo “padre” adottivo, faceva il suo ingresso nella chiesa di Sant’Agostino, e, proprio come aveva desiderato, sull’altare della sua parrocchia, riceveva commosso il battesimo, la cresima e la sua prima eucaristia, tra gli applausi di tutta la comunità, che gli è sempre stata vicina, e che di lì a pochi giorni, avrebbe festeggiato i suoi 20 anni. Una settimana dopo, il 12 ottobre, spirava sereno tra le braccia della madre giunta poche ore prima dal Togo. Nel cimitero degli immigrati ad Armo, una croce porta il suo nome.
«Come una meteora è comparso e poi scomparso nell’ambito della nostra comunità – ricorda padre Bruno – ma la sua memoria e la sua amicizia rimane viva in mezzo a noi; la mamma lo ha chiaramente percepito ed è stato di grande conforto anche per lei».

Antonia Cogliandro