In fondo ognuno trova quello che vuole in questo incontro, agitare le palme vuole essere un modo per farsi notare meglio da quest’uomo che ha sconvolto i canoni secolari dell’ebraismo. È un’accoglienza che porta in se un grande punto interrogativo: quanti della folla hanno compreso chi è veramente Gesù? Quanti invece lo stanno accogliendo come il liberatore dall’oppressore straniero pronto a imporsi con la forza?
Non è soltanto rumore e chiasso di folla che acclama ma è errore di giudizio con verdetto incerto. L’accoglienza con le palme diventa quindi una celebrazione di noi stessi ovvero scarichiamo su Gesù le nostre aspettative, come vorremmo fosse Dio, colui che guarisce il nostro dolore, che da il pane a costo zero, che riporta in vita dalla morte.
Che si può desiderare di più.
Molti della folla sono semplici agitatori di palme capitati li per caso, coinvolti dal trambusto della situazione e dalle voci di corridoio su Gesù il guaritore, saranno gli stessi che dopo averlo accompagnato gli sputeranno addosso lungo la strada della croce, oggi gridano Gesù domani invocheranno Barabba libero, è la solita storia di chi segue il Cristo più per la pancia che per il cuore. Questa celebrazione deve farci comprendere da che parte stiamo se siamo folla di convertiti e desiderosi di una parola di luce o camminatori distratti e tristi, ma questa è una riflessione difficile.
Per poter rispondere dobbiamo aver conosciuto il Signore, mangiato con Lui, respirato e camminato i suoi passi, vegliato al chiarore delle stelle condividendo la nostra vita.
A questo punto dobbiamo riavvolgere il nastro e tornare indietro cercando di riscrivere la festa delle palme, leggerne i passaggi nascosti, i messaggi trasmessi.
Non accogliamo Gesù a Gerusalemme, ma facciamolo entrare nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nelle scelte di ogni giorno.
Non agitiamo le palme ma mettiamo in moto la nostra fede da troppo tempo tempo atrofizzata dall’immobilismo a cui l’abbiamo costretta per indifferenza, per dolore o semplicemente per convenienza; non alziamo la nostra voce confusa tra la folla che crea solo rumore, ma alziamo le nostre preghiere al cielo; non guardiamo passare il Cristo da lontano in modo distratto ma avviciniamoci per toccare con la nostra mano la sua storia fatta di terra e speranza; non facciamo finire troppo presto la nostra festa ma rimaniamo con lui fin sotto la croce.
Si! Proprio quella croce scomoda che fa paura e che tante volte ci fa inveire contro, ci fa sentire da soli e abbandonati. Proprio quella croce che ha portato con noi e per noi.
Alla fine della storia chiedo ad ogni uomo che sta cercando Cristo nelle trame di una vita faticosa, nelle paure e negli smarrimenti se non sia veramente così la festa delle palme, se non sia questo il senso di Gerusalemme.