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La Semina, metafora della vita

Semina Parola di Dio

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Gesù annuncia il regno di Dio dopo le tentazioni attraverso la nota frase “convertitevi e credete al Vangelo perché il Regno di Dio è vicino” (Mc 1,14), facendo capire che il Regno di Dio è proprio Lui che si è avvicinato all’umanità e che chiede di essere accolto attraverso la conversione.
La seconda premessa riguarda il linguaggio parabolico usato da Gesù, in genere si pensa che tale modo di comunicare sia usato da Gesù per rendere più semplice la comprensione, in realtà Egli ne sia costretto nel momento in cui la sua persona, linguaggio diretto per rivelare Dio, non viene riconosciuta e accolta.
Quando Gesù inizia a parlare, non fa riferimento al regno di Dio, ma il lettore attento sa che quell’uomo di cui parla la parabola è Gesù, il regno di Dio che si è avvicinato (il seminatore uscì a seminare), la parabola vuole allora esplicitare la dinamica del regno. Il seminatore apparentemente sembra inesperto e sbadato poiché lascia cadere il seme in terreni che sa che non producono frutto, in realtà la parabola vuole attirare l’attenzione sulle prerogative del seminatore: uscire e seminare, ma non quello di scegliere il terreno. Il terreno, che è l’uomo, non è definito. Molte volte, erroneamente, ci siamo identificati con uno dei terreni, non è questo lo scopo della parabola, il terreno non è definito a priori ma è lasciato alla nostra scelta e al nostro impegno per realizzare questa scelta, noi siamo il terreno che ci impegniamo a diventare. Questa prima parabola ci aiuta a capire le parabole che ci propone la liturgia della parola di questa domenica.
All’inizio della prima delle due parabole abbiamo l’identificazione del regno con l’uomo che semina, la tensione sta nell’atteggiamento dell’uomo, non sa come germoglia e cresce il seme. Com’è possibile che Gesù non sappia come germoglia e cresce la parola? Ecco che diventa importante il significato della prima parabola, il seme viene consegnato al terreno, è la terra che deve accogliere il seme e nutrirlo perché porti frutto e quando il frutto e maturo l’uomo che l’ha seminato può raccoglierlo. Il seme che appartiene all’uomo viene affidato al terreno, l’agricoltore volutamente si riserva la semina e la mietitura lasciando al terreno il tempo tra le due azioni.
Anche nella seconda similitudine la categoria è quella della semina, ma in questo caso l’attenzione non va posta più sul terreno ma sulle dimensioni del seme e nella semina. Quello che è importante è la natura del seme celata dalla sua dimensione, nel seme stesso è nascosta la sua grandezza che può rivelarsi solo se viene seminato e se la terra lo fa germogliare e crescere, ecco che diventa importante accogliere nella nostra vita Colui che apparentemente e momentaneamente si è fatto piccolo. È chiaro che, come in Matteo 13 e Luca 15, anche in Marco 4 le parabole s’illuminano a vicenda, il discorso parabolico di Gesù non è che è l’esplicitazione della frase con cui Gesù inizia il suo ministero pubblico. Il tempo di Dio è compiuto (il seminatore è uscito), il regno di Dio è vicino (l’uomo ha seminato la parola), convertitevi e credete al Vangelo (siate terreno che porta frutto per il tempo della semina). Nelle due ultime similitudini quello che conta è il tempo, che è dato al terreno e al seme, solo il tempo dà al terreno la possibilità di far crescere e germogliare il seme, e solo il tempo permette al seme di rivelare la sua vera natura. È il tempo in cui Dio fa un passo indietro (“veglia o dorma, di notte o di giorno”) per permettere all’uomo di esercitare la libertà dell’ascolto e dell’accoglienza. Non è un tempo di attesa passiva, ma di una scelta d’identità dinamica capace di diventare terreno adatto a rivelare il mistero nascosto del regno di Dio. Solo un terreno adatto è capace di rivelare la pienezza del seme.