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La prima lebbra da cui guarire è l’ingratitudine

 

Essi si erano rivolti a Gesù con un’accorata invocazione: “Gesù maestro, abbi pietà di noi”. Anche qui, come in tutti i casi di miracoli e guarigioni operati da Gesù, si vede che nei bisognosi richiedenti aiuto la fede è qualcosa di preesistente, di consolidato. Non c’è dubbio, loro sono più che convinti che Gesù può guarirli, sanno già che in Lui c’è tutta la potenza per ottenere la grazia desiderata. Tale fede è dimostrata dall’eseguire senza discutere o obiettare il comando di Gesù: “Andatevi a presentare al sacerdote”. Come sappiamo, i lebbrosi nella cultura del popolo d’Israele erano considerati scomunicati, ossia esclusi dalla vita comunitaria; potevano essere reintegrati solo dopo l’avvenuta guarigione, debitamente certificata da uno dei sacerdoti del tempio.

Mi viene in mente la stessa obbedienza di fede riscontrata nei servitori di Cana, quando Gesù dice loro: “Riempite di acqua le anfore”, e ancora quando dopo “una notte di sudore, sulla barca in mezzo al mare” i pescatori, pur non avevo preso nulla, accolgono l’invito di Gesù: “Gettate di nuovo le reti”. Essi obbediscono ed è così che possono fare esperienza della potenza di Dio. Noi cristiani di oggi siamo sempre più desiderosi di vedere segni e prodigi, ma anche sempre più delusi per i pochi miracoli ottenuti. La risposta dovrebbe essere chiara per tutti: non è che la potenza di Dio è venuta meno, per cui è diminuita la sua capacità di fare prodigi, ma è la nostra fede che è diminuita, per cui difficilmente potremo essere esauditi, se continuiamo a promettere di credere, ma solo dopo aver visto il miracolo.

L’altro tema al centro della nostra attenzione è il rendimento di grazie, che sembra scomparire sempre più dal nostro stile di vita, considerato che oggi è tutto scontato e dovuto. Qui non è solo un dovere di buon comportamento, di buona educazione, né di consuetudine al senso del rispetto reciproco o delle regole del galateo, ma è atto di fede verso il Signore e gesto di cordialità verso il nostro prossimo. Gesù in quanto Figlio di Dio non aveva bisogno certo di farsi gratificare dalla riconoscenza di qualcuno, eppure lamenta l’ingratitudine dei nove lebbrosi guariti e apprezza il gesto dell’unico, per di più samaritano, che invece sente il dovere e il bisogno di tornare indietro e ringraziarlo. Da qui l’ultimo messaggio utile per tutti noi: tutti furono guariti, ma uno solo è stato salvato. Non possiamo non chiederci: desideriamo una semplice, per quanto importante, guarigione o la salvezza eterna? I primi furono liberati semplicemente dalla lebbra, ma nessuno di loro ha potuto sperimentare la bellezza di sentirsi amato e salvato dal Signore. Ecco perché da sempre si è considerato che spiritualmente la vera malattia, la vera lebbra, non è solo e tanto quella fisica, ma quella che colpisce la nostra anima, che non ti permettere di riconoscere che solo Gesù è il Signore, che solo Lui può guarire, liberare e salvare. Da questa professione di fede dobbiamo far dipendere tutta la nostra esistenza, che non può non essere vissuta all’insegna della gratitudine verso l’unico Signore della vita e della storia.

Facciamoci come sempre illuminare dal fulgido esempio di Maria, donna eucaristica, ossia donna del ringraziamento. Lei, come insegna Papa Francesco, “dopo aver ricevuto l’annuncio dell’Angelo, lasciò sgorgare dal suo cuore un cantico di lode e di ringraziamento a Dio: L’anima mia magnifica il Signore…. Chiediamo alla Madonna di aiutarci a comprendere che tutto è dono di Dio, e a saper ringraziare: allora, vi assicuro, la nostra gioia sarà piena. Solo colui che sa ringraziare, sperimenta la pienezza della gioia”. Per noi cristiani il modo più grande e sublime per dire grazie è celebrare l’Eucaristia. Partecipiamoci oggi con un senso nuovo e forte di gratitudine al Signore per tutti i suoi benefici, non ultimo il dono della vita e della fede.