«Il primo giorno» indica l’opera di Dio perché segna l’inizio di un tempo nuovo, come se il precedente fosse azzerato, e solo Lui è capace di chiudere un tempo e aprirne un altro; «al mattino presto» allude anche al divino, perché evoca l’origine delle cose, i risvegli della natura, di cui unicamente il Signore è artefice e testimone. E la risposta dell’uomo? Essa è tutta scritta nel «sepolcro», che richiama la caducità dell’esperienza terrena, la quale conosce la fine, e con essa la memoria o l’oblio, a seconda che la persona morta sia stata amata o meno. Gesù è stato amato dalle donne che portano alla tomba «gli aromi che avevano preparato». Ci avevano messo cura nell’approntare quelle preziose misture, non avendo altro modo per cantare il loro amore per Lui; la risposta umana all’iniziativa di Dio si esprime infatti nella disposizione del cuore, ferito o lieto che sia, a cantare l’amore. Certo, il canto di Maria e delle compagne non è altro che un pianto, perché il loro cuore è spezzato, ma al dramma ora si aggiunge una voragine dentro il cuore: non c’è neanche più un corpo su cui piangere! Il vuoto si può vivere in tanti modi: o lo riempiamo di parole e di cose, perché ci spaventa; o, come fanno le donne, lo colmiamo di domande, che però possono far precipitare in una voragine più profonda se non trovano risposte adeguate. «Il volto chinato a terra» delle donne sembra la negazione del capo alzato nel giorno del Signore, di cui aveva parlato Gesù annunciando la liberazione vicina (Luca 21,28). Saremo finalmente liberi quando i dubbi e le paure non ci impediranno di cercare l’amore. Da solo però non puoi farcela, deve venirti incontro il Signore. Difatti, alla fine dei tentativi umani, risplende improvvisa l’opera divina attraverso due figure «in abito sfolgorante». Esse spiegano che ‘il Vivente’ non va cercato tra i morti; a Lui appartiene il vivere e, d’ora in avanti, ovunque c’è vita nell’amore, lì abita il Risorto. Eppure Gesù lo aveva predetto che sarebbe risuscitato, annunciandolo per ben quattro volte in Luca. Tutti avevano dimenticato quella Parola, ma è solo il riportare al cuore la Parola che suscita la fede: non c’è altra via. Oggi la Parola non solo non è creduta, ma non è conosciuta; se è conosciuta, non è capita…una Parola che cade nel vuoto. Tuttavia, proprio il suo precipitare nel vuoto dell’incredulità e della sofferenza, la rende il Tutto che riempie il nulla. Le donne non andranno più verso il sepolcro ma, come quel giorno partirono dal sepolcro per annunciare il Vivente, la corsa del cristiano di ogni tempo diventa un itinerario dalla tomba del Risorto a «tutti gli altri». Ogni persona che incontro è un fratello a cui regalare la bella notizia e, quando ciò accade, davvero si compie la promessa di Cristo: «i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Luca 10,20). Non a caso l’evangelista menziona i nomi delle donne, testimoni e portatrici dell’annuncio di vita, protagoniste assolute di una storia nuova di cui potrà far parte a pieno titolo chiunque ascolterà e ripeterà l’annuncio di Pasqua. Gli apostoli ancora «non credevano ad esse». Bisognerà aspettare le apparizioni del Risorto perché la loro fede diventi capace di fondare e sostenere il futuro cammino della Chiesa. Nonostante ciò, «Pietro si alzò, corse al sepolcro». È rimandato l’incontro personale col Vivente; l’apostolo rimane però con un presentimento di vita che dovrà decidere se coltivare o allontanare. Ognuno di noi è chiamato a scegliere se quella luce che ancora non vedi può diventare la ragione della tua esistenza. Ancora una volta, l’affidamento a questa intuizione non è un’operazione puramente mentale, ma diventa affidamento a tutte le parole di Gesù già ascoltate. Quando capiremo che senza il primato della Parola non c’è fede, non c’è Eucaristia, non c’è vita risorta?