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La Parola di Gesù smaschera il male e libera l’uomo

Marco non dice nulla del contenuto, ma certamente questo maestro, che nel battesimo si era rivelato del tutto immerso nella volontà del Padre e nel vissuto degli uomini, faceva percepire un Dio vicino, compassionevole, dalla parte dell’uomo, ed era capace di suscitare il desiderio di cambiare vita e di seguirlo per sentirsi parte del regno appena proclamato. «Subito» l’intervento del «Nazareno» provoca la ribellione di uno spirito impuro, che se ne stava indisturbato nella sinagoga, e che protesta contro una presenza estranea giudicata “rovinosa”. Il male insorge immediatamente contro il bene, inveisce contro la parola di Dio perché è l’unica in grado di stanarlo e smascherarlo. È impressionante come l’indemoniato stanziasse chissà da quanto tempo in quel luogo di preghiera, riuscendo a ricavarsi uno spazio tra le parole che l’uomo ascolta da Dio ed eleva a Lui. Sì, perché se non toccano la vita e non partono da essa, le parole della fede possono essere contaminate dal male, in quanto capaci di alimentare la presunzione di sentirsi giusti per il solo fatto di dire preghiere e compiere riti, senza curarsi di una vita lontana dalle esigenze dell’amore. È questa la denuncia di diversi profeti, anche se sorprendentemente sembra che qui l’ossesso sia dotato di uno spirito profetico, poiché definisce correttamente Gesù «il santo di Dio». È il tentativo subdolo del male di accreditarsi come vero, ed in questo senso può abbindolare coloro che per tanto tempo ci hanno convissuto accanto, senza avere mai il coraggio di guardarlo negli occhi e combatterlo. Forse anche noi a volte siamo disposti a scendere a compromessi col male che ci rende schiavi, preferendo una schiavitù certa a una libertà faticosa, per paura della responsabilità di gestire la vita a partire da una libertà che implica scelte coerenti, scomode e talvolta anche eroiche pur di mantenersi nella giustizia e nella verità. Gesù, però, ci insegna che bisogna togliere la parola al male e farlo morire di fame, anzi scacciarlo. «Taci, perché se lo lasciamo parlare ci convince che abbiamo ragione, che essere uomini significa dominare. Esci, perché l’uomo non è casa tua, ma è fatto per ricevere lo spirito di Cristo» (Fernando Armellini). Tale ordine è espresso con lo stesso verbo con cui a Cesarea di Filippo Gesù imporrà ai discepoli di non riferire a nessuno la sua identità, dopo che è stato riconosciuto come il Cristo da Pietro. Perché il silenzio quando è in gioco l’identità di Gesù? Anzitutto perché il maestro vuole evitare qualsiasi fraintendimento della sua missione e non essere scambiato per un messia glorioso o per un taumaturgo di professione; sarà infatti la croce a rivelare compiutamente la sua identità di Servo per amore. Forse è richiesto il silenzio anche perché confessare la vera natura del Figlio è un’opera talmente santa che bisognerebbe farlo solo quando si è pronti a conformare a Lui la propria vita. Parlare di Gesù può farlo chiunque; parlare a Gesù può farlo anche un ipocrita; il discepolo è invece chiamato a un cammino più impegnativo, fino a “perdersi” totalmente in Cristo. E lo spirito impuro non intende né perdersi in Dio né perdere la sua preda umana, e prima di essere costretto a uscire, «straziandolo e gridando forte», vorrebbe lasciare un’ultima traccia eclatante del suo passaggio. Ciò che rimarrà invece è ancora lo stupore dei presenti per la dottrina nuova insegnata con l’autorità di chi «non soltanto annuncia la buona notizia, ma la fa accadere» (Ermes Ronchi), sconfiggendo il male. Quel giorno uscì dalla sinagoga una nuova forma di umanità. Nessuno infatti ti dà quello che ti dà Gesù: il dono dello Spirito puro attraverso l’ascolto, e la certezza della vittoria contro il male, anche nei casi che sembrano irrimediabili, perché nessuno è talmente posseduto dal male da trovarsi completamente lontano da Dio. Parla anche a noi Signore, ogni Domenica, come quel sabato a Cafarnao, e i segni del regno si compiranno in noi, e diventeremo segno del regno che viene a liberare gli uomini ancora schiavi del male.