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La Parola del Padre, autentica iniezione di coraggio

Con questo termine intendiamo uno stato emotivo che produce ansia, apprensione e preoccupazione per una situazione o stato di vita. Sono tante le forme di paura che minacciano il nostro benessere fisico e materiale, dalla paura delle malattie alla semplice paura di ingrassare; poi anche quelle relative al benessere psicologico e spirituale, e che identifichiamo nella paura dell’insuccesso, del fallimento, della sconfitta, etc. La paura allora costituisce una vera minaccia, in particolare se vissuta in modo esagerato può portare a forme gravi di depressione e persino alla morte. Per questo nella Parola di Dio tante volte – sembra 365 volte, per ogni giorno dell’anno – viene ripetuta l’esortazione a “non temere”, quasi a ricordarci che tutti i giorni dobbiamo vigilare su questo sentimento, ma soprattutto tutti giorni dobbiamo avere fede sicura e speranza certa nell’amore di Dio, che come Padre buono si prende cura di tutti i suoi figli.

Nel brano odierno sull’importanza di non cedere mai alla paura e allo scoraggiamento, vengono indicati tre pericoli specifici: il primo è quello di far prevalere la bugia e la menzogna sulla verità, che per noi è lo stesso Cristo Gesù e la sua Parola di vita, che va annunciata “dai tetti”, ossia senza mezze misure e compromessi. La seconda è quella della morte fisica causata dall’ostilità e persecuzione dei nemici. Gesù ci ricorda a non temere tanto questo tipo di morte, ma quella che san Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature chiamerà “morte secunda”, ossia la morte spirituale dell’anima, che per di più sarà per sempre. Infine Gesù ci mette in guardia dalla paura della nostra inadeguatezza e fragilità umana: anche per questa non c’è da temere per il fatto che di essa si prende cura il Signore, come fa con gli uccelli del cielo e i fiori del campo, che nonostante la loro precarietà e caducità sono preziosi agli occhi di Dio, tanto da sfamarli e custodirli.

Infine Gesù si sofferma sull’importanza del riconoscimento reciproco che ci deve essere tra noi e Lui. Riconoscere Lui significa confessare la nostra fede e testimoniare la nostra appartenenza a Lui. È inutile dire che per questa necessaria forma di riconoscimento la difficoltà sta nel fatto che non ci possiamo limitare a una confessione verbale o una testimonianza fatta solo con le labbra, ma è necessaria la credibilità della nostra fede. Ecco perché non ci stancheremo mai di ripetere che “è meglio essere cristiani senza dirlo, che dirsi cristiani senza esserlo”. Non a caso nella storia della Chiesa non sono mancati e non mancano mai coloro che hanno preso tanto sul serio questa espressone fino a dare con generosità e gioia la loro vita, accettando qualsiasi forma di martirio. D’altronde non si traduce forse il termine greco martoria con la parola testimonianza? Da qui la necessità di riconoscere, costi quel che costi, che Lui è il Signore, il Figlio di Dio, l’unico Salvatore del mondo. Ma Gesù ha detto che anch’Egli ci riconoscerà. È opportuno allora chiederci: in cosa consiste il suo riconoscimento per noi? La risposta è certa! Siamo per fede costituiti figli di Dio, creati dal Padre, redenti dal Figlio, santificati dallo Spirito Santo. Se veramente comprendessimo questo inestimabile dono, cosa non faremmo per vivere nella libertà e nella gioia di questa figliolanza divina! Giustamente papa Francesco ci ricorda che “ciò che importa è la franchezza, è il coraggio della testimonianza di fede. Riconoscere Gesù davanti agli uomini e andare avanti facendo il bene”. Non ci resta allora che pregare, facendo nostre le belle parole della preghiera della colletta di questa domenica, che ci fa chiedere di essere liberati “da ogni paura, perché non ci vergogniamo mai della nostra fede, ma confessiamo con franchezza il tuo nome davanti agli uomini”.

Monsignor Giacomo D’Anna
23 Giugno 2023