Tali espressioni dicono in una sola parola l’amore di Dio per noi, un amore così grande che non si è limitato solo al dono della creazione, per il quale siamo stati generati e dotati del meraviglioso universo che ci circonda; non solo ai doni della provvidenza e sussistenza, che permettono al mondo di resistere nonostante le innumerevoli avversità che lo minacciano e colpiscono; soprattutto ci ha fatto il dono della redenzione, che ci ha salvato e ci salva nella persona del Figlio, il Verbo incarnato, che “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo” per dare la vita e renderci eternamente felici.
Luca, non a caso, inserisce il Natale in un kairòs preciso, in un contesto storico determinato, in una vicenda di cronaca ben definita. Dal momento in cui Dio è entrato nella storia e nel tempo, non c’è più distinzione e separazione tra la storia degli uomini e la storia di Dio, ma le due realtà apparentemente lontane e opposte, il divino e l’umano, si sono unite per sempre. Da quando Dio ha mandato suo Figlio nel mondo, il veramente grande si è fatto piccino, confondendo e offuscando anche gli altisonanti nomi dei personaggi che aprono il vangelo di oggi, sovrani e governatori della terra, che davanti al Dio bambino appariranno inutili e inconsistenti.
Si parla poi di una famiglia semplice, comune, composta da un uomo fin a quel giorno sconosciuto a tutti, Giuseppe, e da una giovane sposa, in attesa del suo primo figlio. I due sono in viaggio. Sono partiti per obbedire apparentemente a una legge umana e terrena, imposta dal sovrano di turno, cesare Augusto, che aveva ordinato il censimento del paese, ma in verità per portare a compimento un comando superiore, un decreto divino, che si rivelerà alla fine, la realizzazione di un progetto dì amore, un disegno di salvezza per tutta l’umanità.
Segue lo stravolgente racconto della nascita vera e propria del bambino Gesù. A primo acchito non può non colpirci l’estrema povertà di una nascita avvenuta in un ambiente per nulla accogliente e sfarzoso, che certamente sembra smentire le antiche profezie che avevano preannunciato l’arrivo del Messia come un evento straordinario ed eccezionale e avevano definito l’inviato da Dio con titoli eccelsi e gloriosi, come dominatore d’Israele salvatore potente, principe di pace, Dio degli eserciti. E invece qual è la scena che accoglie gli sprovveduti pastori di ieri al loro arrivo nella stalla di Betlemme, e gli sprovveduti cristiani di oggi chiamati a visitare e pregare davanti ai presepi allestiti ad arte in questo periodo natalizio? “Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Ma come un bambino? E dove poi? In una mangiatoia? Ma non è possibile! È semplicemente incredibile! Non può Dio chiederci uno sforzo di fede così grande, se consideriamo che stiamo parlando di Dio, del Messia, del Redentore del mondo. Ma con quali mezzi? Con quali forze? Eppure il Vangelo è chiaro e inconfondibile. È lì in quella stalla, su quel po’ di fieno, in quella mangiatoia sgangherata che si trova il Re dei Re, il Messia atteso dai patriarchi e preannunciato dai profeti. Sì proprio così è Dio, il nostro Dio che ha scelto la via dell’umiltà e del nascondimento per rivelarsi poi il Salvatore potente non in virtù di mezzi umani e di ricchezze terrene, ma in forza del suo amore e della sua misericordia senza limiti per tutta l’umanità.
“Annuntio vobis gaudium mgnum”! Sì, è proprio lì l’annuncio della vera gioia e la realizzazione della vera pace in quel Bambino povero e umile che ogni anno a Natale viene non per dimostrarci la sua maestà e potenza di un Dio forte e vincitore, ma per rivelarci il suo amore e la sua tenerezza di un Dio infinitamente grande perché ha scelto di farsi infinitamente piccolo.