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La forza della preghiera è nella fede che la genera

A tale interrogativo nessuno giustamente si è permesso di dare una risposta certa e definitiva, ma esso ci invita a considerare l’importanza della fede e nello stesso tempo la difficoltà per noi credenti di custodire ed alimentare questo prezioso dono.

Non è riduttivo dire che molto dipenda dal senso della preghiera, o meglio dalle motivazioni che ci spingono a pregare e dal modo con cui rivolgiamo le nostre invocazioni al Signore. Non è certo un invito a cadere in un fideismo vuoto e insignificante, che ci porta a ripetere formule e giaculatorie, dimenticando così l’ammonizione di Gesù: “Non chi dice Signore Signore entrerà nel regno dei cieli”, o l’altra nota espressione: “Non crediate di essere ascoltati a forza di parole”. Questi detti ci ricordano che la fede non può prescindere da una testimonianza di vita improntata sull’amore e sul servizio, richiestici dalla prima all’ultima pagina del Vangelo.

Ma torniamo all’importanza della preghiera, che in una società scristianizzata come la nostra non è per nulla un fatto scontato. Sono infatti molti0 che, pur dicendosi cristiani, hanno una visione non corretta sull’argomento: alcuni credono che non ne valga proprio la pena in quanto Dio è troppo occupato per poter esaudire tutti; altri si domandano: ma se Dio sa tutto, perché dobbiamo stare lì a dirgli cosa deve o non deve fare, cosa deve darci e ottenerci? Eppure il vangelo di oggi non dà spazio a obiezioni circa l’opportunità della preghiera: “oportet semper orare” (Lc.18,1), “bisogna pregare sempre”, dice Gesù, addirittura con la precisazione “senza stancarsi”, e per spigarcelo ci racconta la parabola della vedova inopportuna e del giudice disonesto.

La prima, dall’atteggiamento deciso e risoluto, è l’emblema delle donne irrefrenabili nella loro richieste; mi vengono in mente le parole di un antico canto popolare rivolto a Maria, che diceva: «E non mi ndi viua di cca’, si sta grazia non mi fa». Quasi un ricatto, una minaccia, pur di ottenere esaudimento nell’accorata supplica. La parabola parla poi di un giudice poco sensibile ed onesto, ma che accetta di fare giustizia non per senso del dovere, ma per il semplice gusto di togliersi di torno una persona così insolente e fastidiosa. La conclusione ce la dice la stessa parabola: se il giudice disonesto finisce per ascoltare la preghiera della vedova, sebbene non per una lodevole motivazione, pensate che il buon Dio «lascerà morire miseramente coloro che si rivolgono a lui giorno e notte?». Non ci dovrebbe sfuggire quel “giorno e notte”, che dice uno stile di preghiera “non mordi e fuggi”, ma che sia fedele, costante e generoso.

Dobbiamo riconoscere che tutti facciamo fatica ad assumere uno stile di vita orante e una spiritualità che sia veramente cristiana. Di fatto tutti vorremmo che ci venga concesso tutto e subito; abbiamo perso la pazienza dell’attesa per le cose materiali e tanto più per le questioni spirituali, il senso della speranza che deve alimentare e supportare la preghiera di ogni credente. Oggi accogliamo l’invito di Gesù a riscoprire più che il dovere, la bellezza di stare davanti a Dio, la gioia di riconoscerlo come il “Dio dell’impossibile”, la consolazione di ottenere grazia da colui che tutto può, confidando nell’infinita misericordia di Dio, che non può restare insensibile davanti alle suppliche di chi lo invoca con fede ed umiltà.