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La fiducia nel Padre è grazia che vale più della vita

Se tale appellativo affiora sulle labbra di Gesù circa 180 volte nei vangeli, mentre nell’Antico Testamento è riferito a Yhwh soltanto 15 volte, si capisce come la paternità sia il tratto di Dio che Egli vuole che noi riteniamo maggiormente. La santificazione del nome, il regno, il perdono e la fortezza nella tentazione sono i doni che il Figlio ci suggerisce di chiedere. Essi sono opera del Padre ma anche risposta dei figli, che gli uomini vedono già realizzata sul volto di Gesù. È Lui che ha mostrato la santità del nome di Dio, accogliendo pienamente il suo amore; siamo noi a proclamare con la vita la grandezza del suo nome, esprimendo quella carità profonda che nasce da un cuore rinnovato, come aveva preannunciato Ezechiele: «Santificherò il mio nome grande, disonorato fra le genti […] Vi darò un cuore nuovo» (36,23.26). È Gesù che ha annunciato instancabilmente il regno di Dio, presentandolo come una realtà attuale; siamo noi che ci inseriamo nel magnifico compito di edificarlo vivendo di giorno in giorno la specifica vocazione che abbiamo ricevuto. È Gesù che ci ha insegnato il perdono verso tutti e in ogni circostanza; siamo noi che dobbiamo chiederlo per noi stessi ed esercitarlo verso gli altri, affinché il dono ricevuto non marcisca interiormente, ma si moltiplichi fuori di noi. È Gesù che nel deserto della tentazione si è sentito sostenuto dalla Parola del Padre; siamo noi che dobbiamo farci guidare nella prova solo dalla forza della sua Parola.
Infatti, cosa fai quando non sai che strada prendere, quando ciascuna delle opzioni che hai davanti sembra equivalersi e temi che le tue sensazioni possano essere ingannatrici? Quando la mente non vede con chiarezza il bene da fare e il cuore prova sentimenti contraddittori, soltanto il confronto con la Parola può indicarti la strada della verità. Se a volte la risposta alle situazioni è istintiva, come nella parabola dell’amico importuno che Gesù subito dopo racconta, in cui è lo sfinimento per l’insistenza dell’amico ad indurre ad aprire, più spesso ci si muove nel labirinto del dubbio: è lì che bisogna bussare con perseveranza al cuore del Padre perché mostri la sua volontà. Va interpretato in tale prospettiva il detto sulla preghiera insistente: chiedere, cercare e bussare non per ottenere ciò che riteniamo importante per noi, ma perché si compia il progetto di Dio sulla nostra vita, molto più grande di ciò che pensiamo sia il bene per noi stessi.
Siamo al cuore della fede, che induce l’uomo a fidarsi del Padre al punto da mettere da parte le proprie prerogative e accettare che la storia personale prenda delle svolte impreviste. Quanto accanimento apportatore di tristezze perché le cose non sono andate come volevamo e le persone non ci hanno dato ciò che ci aspettavamo; quanta libertà e gioia quando non ti lasci braccare dalla nostalgia del passato e dall’ansia del futuro, ma vivi il presente come un dono che genera continuamente vita se sai stare con pazienza anche nelle situazioni che non hai scelto! Gesù motiva tale fiducia richiamandosi all’immagine del nutrimento, la prima e fondamentale relazione genitore-figlio che dà sostentamento e sicurezza al piccolo.
Se il padre terreno ti dà vita anche se non l’hai chiesta, anche se non la meriti, il Padre celeste «darà lo Spirito Santo», darà cioè la percezione di essere amato e una rinnovata capacità d’amare. Come rinunciare a un Padre così? Eppure accade, come quei figli che, sentendosi defraudati di qualcosa rispetto ai fratelli, chiudono i rapporti col padre. Forse è proprio il fratello la chiave per riaprire la relazione col Padre; il bisogno struggente di paternità che ad esempio leggo sul volto dei bambini dati in affido familiare, è il segno di una paternità che supera i confini biologici e psicologici e mostra una capacità di estendersi all’infinito…perché ha una origine infinita, soprannaturale.