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Nel vangelo di Giovanni al primo capitolo Giovanni Battista indica ai suoi discepoli Gesù, loro si avvicinano e Lui gli chiede: “Che cercate?” Ecco, la forza dell’amore precede i passi dell’uomo e mette dentro di lui il desiderio e il bisogno di essere amato, l’uomo incontra per la prima volta l’amore nella sua assenza, e da lì inizia la sua ricerca. I discepoli rispondono: “Dove abiti?” e Gesù: “Venite e vedete”. I discepoli andarono e rimasero con lui.
Attraverso l’incontro e la frequentazione di Gesù i discepoli fanno esperienza dell’amore, di cui Gesù parla al capitolo 15 dello stesso vangelo. Il brano, tratto da questo capitolo che ci viene riportato dalla liturgia della parola della VI domenica di Pasqua, letto in modo veloce e superficiale sembra essere una serie di sentenze di Gesù che vuole farci prendere coscienza di una realtà. Se ci prendiamo un po’ di tempo e ci dedichiamo a una lettura più attenta oltre a una leggera suggestione, possiamo scoprire una forte logica, la logica dell’amore.
Il punto di partenza è la costatazione di un’esperienza, la relazione che esiste tra Gesù e gli apostoli, in questo legame Egli ha comunicato tutto il suo amore, un amore che conosce solo lui e solo lui può donare, l’amore con cui è stato amato dal Padre. L’origine dell’amore è nel rapporto che esiste tra Padre e Figlio, questo rapporto può essere comunicato e il Figlio, l’unico che ne ha la possibilità, l’ha fatto.
Avendo ricevuto e donato l’amore, Gesù è l’unico che può comandarci di rimanere dentro questa relazione evitando di cercare un altro amore poiché, come Dio, è unico. Come si può restare in quest’amore? Gesù, l’unico che ne ha conoscenza, ci suggerisce di osservare i suoi comandamenti poiché questa è la logica stessa dell’amore, quella che nasce nell’amore che il Padre dona e il Figlio accoglie. L’osservanza dei comandamenti per rimanere nell’amore non è una legge esterna, ma fa parte della natura stessa dell’amore nel suo essere tra Padre e Figlio. La comunicazione che Gesù fa non è un peso da portare ma una gioia da vivere perché completa l’uomo cercante.
Il secondo passo è la definizione del comandamento: “Che vi amate gli uni gli altri come io vi ho amato”, l’amore reciproco ci permette di restare in quell’amore che si scambiano il Padre e il Figlio e che Gesù ci ha donato.
Il terzo momento rende comprensibile nello stesso tempo la grandezza dell’amore e la natura dell’amicizia. L’amore più grande è quello capace di donare la vita per gli amici, e gli amici sono coloro che permettono all’amore di continuare a scorrere facendo vivere l’amore attraverso il dono. Gli amici sono diventati tali nel momento in cui il Figlio ha rivelato loro tutto ciò che ha ricevuto dal Padre, e siccome ciò che Gesù ha udito dal Padre è amore, gli amici sono il frutto dell’amore.
Gli amici sono frutto di una scelta di un amore libero, perché il dono in quanto tale non può che contenere solo ed esclusivamente la libertà. Solo l’amore che nasce dal dono costituisce uomini liberi capaci di portare frutto, perché sanno, possono e vogliono amare. Solo dentro questa dinamica è possibile qualunque richiesta al Padre, perché dentro questa dinamica il Padre concede, solo se la richiesta è conforme all’amore che il Padre ha comunicato al Figlio, il Figlio ha donato a noi, e noi siamo rimasti nel dono amandoci reciprocamente.