{module AddThis}Lo slogan di qualche anno fa, “Cristo sì Chiesa no!”, ma soprattutto l’atteggiamento attuale di molti battezzati chiede delle risposte che solo Dio può dare. Il bello che le risposte che chiariscono questi interrogativi lui le dà attraverso la Chiesa, luce del mondo e sale della terra. La vita terrena di Gesù, spazio e tempo della sua azione salvifica esprime nel concreto che la Chiesa e la sua funzione non nascono da una presunzione umana, né da un semplice necessità, ma dalla volontà di Dio. Se questo verità si può cogliere nella Bibbia in generale, in alcuni passi la rivelazione diventa più chiara e più forte.
Tra questi momenti la “Professione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo”, così com’è raccontato nel vangelo di Matteo è tra i più significativi ed espliciti. L’autorità che viene data a Pietro, su cui viene edificata la Chiesa, non è un privilegio, ma un servizio, espressione di un dono che nasce dalla volontà del Padre e si poggia continuamente sulla rivelazione e l’azione del Figlio. Il brano così com’è narrato sembra sia un episodio della vita di Gesù funzionale alla sua rivelazione di Figlio di Dio, l’aggiunta che il primo evangelista fa rispetto al secondo non è per rendere completo il racconto, ma perché vuole dare all’avvenimento un colore ecclesiale. La comunità dei discepoli è stata costituita dalla chiamata di Gesù, cresce e si forma attraverso l’amicizia del maestro e la sua assidua conoscenza. Ma c’è un momento in cui in questa frequentazione c’è il bisogno da parte dei discepoli di dire a sé stessi: “Ma chi è colui che stiamo seguendo, per cui abbiamo lasciato tutto?”. Questa domanda viene posta da Gesù in una sorta di confronto con la “gente”, cioè con coloro che del maestro hanno avuto un’esperienza diversa. Se infatti queste persone “vedendo Gesù dall’esterno” arrivano ad affermare che Gesù è uno dei profeti, Pietro invece lo riconosce come il “Cristo, il Figlio del Dio vivente”, proprio perché ha avuto la possibilità di fare un’esperienza più intima. Questa esperienza non dipende solo dalla frequentazione, ma dalla possibilità che gli viene data di essere termine della rivelazione del Padre, che solo la presenza di Gesù può dare. Quello che apparentemente può sembrare una prerogativa di Pietro, che tra gli altri riesce a riconoscere Gesù, in realtà è un dono a servizio della comunità. Le parole di commento di Gesù che seguono alla professione di fede di Pietro rivelano una volontà e una scelta ben precisa. L’accoglienza di questa rivelazione da parte del primo degli apostoli lo abilita a una missione e a un servizio speciale all’interno dell’opera salvifica. Simone di Giovanni è Pietro in virtù della rivelazione che Dio Padre gli ha fatto, questa lo costituisce come elemento stabile su cui è possibile costruire la nuova comunità, il nuovo popolo convocato da Dio, la Chiesa.
La stabilità simbolicamente rappresentata dalla pietra, non è una stabilità che resiste alle gli attacchi umani, ma supera anche quelle che provengono dagli inferi. La frase “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”, che in un primo momento può sembrare arbitraria, in realtà definisce la natura della chiesa e il suo riferimento alla pietra e a Pietro. La frase fa allusione ad alcuni passi dell’Antico Testamento, Gb 38,17; Sap 16,13; Is 28,16; 38,10 in cui si parla di Dio come l’unico che conosce questa realtà ed è capace di limitarla e superarla. A Pietro e alla Chiesa, allora, è assicurata una stabilità che è il prolungamento di un’autorità che è propria della natura di Dio e del suo unigenito Figlio. Non è un ruolo passivo, ma una capacità di discernimento, di guida e di giudizio che vengono paragonate al ruolo che la chiave ha di aprire e chiudere le porte. Se le porte degli inferi non possono prevalere contro la Chiesa, a Pietro vengono affidate le chiavi del regno. Anche in questo caso c’è un’allusione all’Antico Testamento, e precisamente al profeta Isaia (22,19-23), in cui il riferimento al Messia e alla sua stabilità è evidente: “lo conficcherò come un piolo in un luogo solido e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre”. Un riferimento che vede nel nostro episodio il suo compimento e il nuovo sviluppo in cui a Pietro viene consegnata la chiave che apre la porta Gesù e permette di entrare nel regno, “gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide; se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude nessuno potrà aprire”. L’apostolo sarà il garante della vera fede e dovrà anche autenticare i veri fedeli. Assicurerà così la continuità dell’opera del Signore.