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La croce è vita perché conduce alla risurrezione

Gesù vuole stanare i suoi discepoli da una sequela scialba e poco convinta. Se vai dietro a Lui, non devi avere dubbi sulla sua identità e sorte. Immagino lo sgomento degli apostoli quando il maestro, non accontentandosi di risposte generiche basate su opinioni altrui, guardandoli negli occhi, chiede loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Tu che dici? La risposta non si può delegare perché la vita non si può delegare e da questa risposta dipende la direzione che prende la vita. Pietro, ispirato dal Padre e mosso da un sincero amore per Gesù, ne confessa la messianicità, riconoscendo la sua origine divina. L’ordine immediatamente seguente di «non parlare di lui ad alcuno» rientra nel cosiddetto segreto messianico di Marco, per cui l’identità di Cristo non deve essere svelata per evitare fraintendimenti e solo dopo la Pasqua si comprenderà che il suo messianismo non era politico né obbediva ad altre attese mondane, ma mirava alla riconciliazione degli uomini con Dio e tra loro. Ne deriva che può legittimamente annunciare il vangelo solo chi ha accolto la persona e la missione di Gesù nella loro interezza, senza edulcorare il suo messaggio, altrimenti è meglio tacere, specialmente in un tempo come quello attuale in cui nella giungla mediatica, espressione di uno stile di relazioni umane superficiali e confuse, non si aspetta altro che cogliere in fallo chi si riconosce nella Chiesa per mettere alla gogna l’intera istituzione. Dire di qualcuno, infatti, dovrebbe implicare almeno l’intuirne il mistero che porta dentro, l’essere anche attratti da tale mistero, in quanto partecipe dello stesso mistero divino da cui trae origine. Invece molto spesso nel parlare di qualcuno ci si dimentica di togliersi i sandali dinanzi alla terra santa che l’altro è, trattandolo come un bersaglio delle nostre parole e calpestando la dignità e la bellezza di cui è portatore.
Ecco che Gesù dispiega il suo mistero, svelando il primo annuncio della sua passione, morte e risurrezione. «Faceva questo discorso apertamente», perché il cammino pasquale di Cristo si riproduce nella vita di ciascuno, sia che lo accetti e ne trai un frutto spirituale, sia che lo rifiuti e ti senti maltrattato dalla vita. Nessuno si può sottrarre alle tribolazione dell’esistenza, ma nonostante ciò Pietro intende smarcarsi da questa posizione inaccettabile per quanti sono affezionati all’idea di un Dio che funga da trampolino di lancio dei propri sogni di gloria mondana. È questo il motivo per cui l’apostolo «lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo», perché è come se d’improvviso Gesù facesse saltare i suoi piani, che costituiscono ancora il vero dio di Pietro. Ciascuno di noi, guardando questa irriverente ma del tutto realistica presa di posizione dell’apostolo, dovrebbe chiedersi: amo più me stesso o Dio? Se sai sacrificare la tua volontà allora ami più Dio, altrimenti sei ancora prigioniero di te stesso. Gesù è riuscito a rimettere la propria volontà nelle mani del Padre, perciò è libero e forte dell’ispirazione paterna per poter a sua volta rimproverare Pietro. L’apostolo lo rimprovera per riportare Gesù a sé; Gesù lo fa per riportare Pietro al Padre. Pensare secondo Dio è il modo che Cristo indica per entrare in una autentica novità di vita; significa fidarsi di ciò che non puoi comprendere totalmente e forse non vedrai mai, ma hai l’intima certezza che quella è la via della vita.
Gesù indica tale via subito dopo nella sequela ‘con’ la croce. Tante volte noi pensiamo di dover essere prima perfetti o accettabili e poi poter seguire il Signore. In realtà Gesù ti chiede di seguirlo qui e oggi, con tutto il tuo carico di imperfezione e peccato, mentre sarebbe più semplice rinunciare alla sequela col pretesto di non sentirsi all’altezza. Tutte scuse. Ogni ritardo nel cammino dietro Gesù è un lento rinunciare a vivere. La croce è vita perché conduce alla risurrezione!