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La conversione non è un’etica

La conversione di San Paolo

{module AddThis}Ogni trasformazione e ogni cambiamento hanno come punto di partenza Gesù Cristo che irrompe nella nostra vita per portare la novità della misericordia, ma che nello stesso tempo chiede necessariamente la risposta dell’uomo disposto a ritornare, tornare a Dio per mezzo di Gesù Cristo, per rinascere.
Quando Gesù giunge nella sinagoga a Nazareth e proclama il passo di Isaia, rende presente e accessibile la grazia di Dio nell’oggi dell’uomo, in uno spazio e in tempo ben preciso. La grazia della salvezza e della vita nuova che entrano nel mondo con Gesù Cristo sono state desiderate e tante volte richieste, non solo dal popolo d’Israele ma da tutti gli uomini, e oggi da noi. Così dobbiamo pensare i cittadini di Nazareth, in attesa, pronti ad accogliere ciò che da tanto stavano aspettando, e in questa linea va interpretata la frase che il narratore pone come reazione alle parole di Gesù: «Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati dalle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è il figlio di Giuseppe”». A differenza di quello che riporta l’evangelista Marco, per Luca a Nazareth, in un primo momento i concittadini di Gesù sono contenti di quello che ha detto Gesù, e l’interrogativo stesso all’interno della reazione sembra orientato all’accettazione. Alla fine del brano, però, il loro atteggiamento nei confronti di Gesù è mutato tanto che vogliono buttarlo giù dal precipizio. Cos’è successo per fare cambiare parere? Cos’è accaduta allora ma cosa succeda oggi, che il “politicamente corretto” di alcune associazioni occulte e dominanti ci invita e a volte ci costringe a mutare parere su Gesù e ci rende incapaci di dare testimonianza?
La risposta, allora come oggi, viene data dalle parole di Gesù che svelano i pensieri nascosti dei cuori che temono di convertirsi per paura di morire. Solo lui riesce a leggere questa paura e a indicare una strada di guarigione. La conversione operata da Gesù nella sua città prevede due momenti, come prima cosa denunciare la pretesa di voler ottenere la grazia solo in base al loro status, la seconda non voler fare nessuno sforzo per accogliere questa novità. “Medico cura te stesso”, rende manifesto il desiderio del popolo di essere curati da Gesù solo per il fatto di essere compaesani. “Nessun profeta è bene accetto in patria”, apre una nuova prospettiva, in questo caso Gesù porta l’esempio di due profeti, Elia ed Eliseo, che hanno operato anche in terra straniera. Attraverso due episodi concreti Gesù cerca di educare il popolo di Nazareth alla conversione. Non basta essere concittadini di Gesù, e volendo allargare non basta essere Israeliti, per ottenere i beni messianici. Non basta essere battezzati per ottenere la misericordia di Dio. La grazia dell’anno giubilare ha bisogno della conversione.
A confermare quest’interpretazione, oggi come allora, ci sono le parole di Giovanna Battista che nel preparare la venuta del Messia aveva intimato: «Fate frutti degni di conversione e non cominciate a dire tra voi. “Abbiamo Abramo come padre!” Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli di Abramo” (Lc 3,8)». La conversione è difficile e faticosa perché richiede “sacrificio”, ma è necessaria per accogliere la grazia della nuova vita: “Nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccerà gli otri, e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri” (Mc 2,22). Non basta il rifiuto della conversione a fermare la missione di Gesù: “Ma egli passando in mezzo a loro si mise in cammino”. L’anno di grazia è Gesù che sfugge a ogni potere occulto che cerca di ucciderlo e si mette in cammino per portare la misericordia del Padre a chi la desidera con cuore sincero.