Ma, come spesso succede, al danno sembra aggiungersi la beffa. Infatti mentre Gesù, con tono affranto e appassionato, parla come un condannato a morte, i suoi discepoli si mettono a discutere su chi di loro fosse il primo, il più grande. Che tristezza la tentazione di voler essere insuperabili, invincibili, i primi della classe, il desiderio irresistibile di dominare sugli altri, di spadroneggiare e comandare ad ogni costo! Ma si può essere così ottusi? Eppure Gesù lo aveva spiegato in mille modi e circostanze diverse, con le parole, ma soprattutto con i fatti, che il suo messianismo non aveva niente a che fare con i potenti e i grandi della terra e così doveva essere per i suoi seguaci e discepoli. Non ricchezze, autorità, successo e comando, ma solo servizio, amore e abnegazione. Questo linguaggio è duro ed incomprensibile tanto per gli apostoli di ieri quanti per noi cristiani di oggi. Forse a parole anche noi sacerdoti e religiosi siamo abili a trattare questi argomenti come temi di belle prediche e meditazioni spirituali, come argomenti di convegni ecclesiali e lezioni teologiche, ma nella vita di ogni giorno possiamo dire di avere fatta nostra la logica della croce di Cristo? A noi il compito di una risposta sincera e in coscienza, confrontandoci costantemente con la Parola di Dio, unico parametro per la nostra vita cristiana, chiamata a dare testimonianza nel mondo. Gesù, nonostante la delusione, non desiste nel dare, con ineguagliabile audacia e chiarezza, il suo insegnamento, e lo fa servendosi di due immagini che si riveleranno tanto umili e semplici quanto luminose e significative: quelle del servo e del bambino. Con esse ci insegna che bisogna imparare a servire con la stessa umiltà dell’ultimo dei servi, e a comportarsi con la semplicità di un bambino, se vogliamo diventare veramente primi nell’amore. Le immagini ci colpiscono, in particolare quella del piccolo che Gesù non esita stringere forte al petto. Quanta tenerezza, quanto amore da parte del divin Maestro, mai freddo e distaccato, ma attento e amante di questa categoria di persone, espressione della fragilità e della semplicità umana, ma nello stesso tempo icona di umiltà e di purezza, virtù indispensabili per essere grandi e felici! Eppure anche oggi quanti bambini usati, sfruttati, umiliati, maltrattati e uccisi! Non manchi oggi una preghiera per loro. Facciamo nostro allora questo stile di servizio e di umiltà, simboleggiati rispettivamente dalla figura del servo e del bambino. Non ci sfugga una riflessione più attenta sulle due figure. Davanti alla prima chiediamoci: ma io so servire? Sono veramente disposto al servizio? Non sono rare le volte in cui sentiamo dire o forse diciamo: «Servire io? Tu non sai chi sono io. Io non sono il servo di nessuno». Quanta mania di grandezza, quanta superbia, dimenticando la regola fondamentale della vita cristiana, la quale c’insegna che «regnare è servire». Davanti alla seconda ricordiamo che Gesù ci invita ad essere come bambini, un invito non certo all’infantilismo, piaga molto diffusa e comune anche nelle persone più adulte, colte e intelligenti, e che porta molte volte a sentimenti di ripicca, presunzione e immaturità. Ritorniamo dunque a riscoprire questi due atteggiamenti fondamentali per un’autentica testimonianza di vita cristiana. Impariamo ad avere un cuore mite e umile, capace di amare davvero Dio e il prossimo. Ma come possiamo dire di amare Dio se non abbiamo la totale disponibilità, cieca obbedienza e indiscutibile fedeltà di un buon servitore? E come possiamo dire di amare il prossimo se non abbiamo l’atteggiamento semplice, buono e genuino, mai sospettoso, avveduto e maligno, di un bambino innocente? Ci aiuti Gesù «mite ed umile di cuore», «non venuto per essere servito ma per servire», a servire con cuor libero e gioioso, con l’umiltà dell’ultimo servo dei servi di Dio, e ad amare con il cuore di un bambino che si fida e si affida senza esitazione e il minimo sospetto alla guida e alle cure della propria mamma.