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L’invito del Maestro: «Sforzatevi di entrare dalla porta stretta»

Sorge spontanea una domanda: ma oggi è veramente avvertito il problema della salvezza, sia essa personale che universale? Sappiamo che per gli ebrei invece questo era uno dei principali argomenti teologici e spirituali fondamentale, ma che avevano risolto, con la categoria dell’elezione: il popolo d’Israele è l’unico popolo (‘am Jahwè) scelto e chiamato da Dio, per questo unico destinatario della salvezza, a differenza degli altri popoli (goim) per i quali non era pensabile alcuna salvezza. Anche la Chiesa cattolica, per molto tempo ragionò pressappoco come l’antico popolo dell’alleanza, e si convinse che “extra Ecclesia nulla salus”, che cioè che solo chi apparteneva alla societas perfecta della santa Chiesa poteva sperare nella salvezza; ed è per queste che anticamente la predicazione, la spiritualità e la teologia puntarono molto su questo tema, utilizzando spesso sermoni infuocati che incutevano il terrore per la perdizione eterna, verso la quale una moltitudine di fedeli erano rovinosamente avviati e esaltavano la gioia dell’eterno paradiso, che comunque conquistava il cuore di non pochi fedeli, che abbracciavano eroicamente la via del sacrifico e dell’abnegazione, come via sicura per conseguire il premio riservato ai giusti. È lecito chiedersi: oggi nelle nostre catechesi, nelle nostre omelie, nei nostri convegni si parla più di salvezza? I cristiani di oggi, anche quelli più impegnati e presenti, considerano la vita cristiana come preparazione alla vita eterna, oppure è ritenuta soltanto una semplice alternativa a tanti diversi modi di pensare e di credere? E noi crediamo che la Chiesa è stata voluta da Cristo come strumento universale di salvezza, e che dunque l’impegno dei cattolici nella chiesa e nel mondo non è una semplice opera di volontariato, una specie di onlus o una sorta club fondato per fare un po’ di beneficenza e dare aiuto alle persone in difficoltà? Qualcuno afferma che siamo passati da un eccesso all’altro, da chi doveva fare i conti con la paura dell’inferno e l’ansia del paradiso, a chi ritiene queste verità favolette per bambini. Noi sappiamo quanto sia giusto e doveroso che i cristiani nella Chiesa e nel mondo siamo annunciatori credibili dell’amore di Dio mediante una luminosa testimonianza di carità e un impegno sociale veramente esemplare, ma non possiamo dimenticare che la dimensione escatologica, ossia quella della sorte finale di ogni cristiano, è una verità non solo innegabile, ma anche non trascurabile.

Gesù come al solito per farci comprendere ancora meglio il senso dei suoi insegnamenti ci regala un’altra delle sue parabole che ci racconta con toni alquanto forti che alla fine dei tempi Dio come un padrone di casa farà entrare quanti si sono sforzati di passare per la porta stretta del Vangelo, ma chiuderà la porta a quanti pur se sedicenti amici e conoscenti con i quali addirittura ci sono stati persino rapporti di convivialità (“abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza”) e di accoglienza (“e tu hai insegnato nelle nostre piazze”), ma nonostante Egli dichiarerà di non conoscerli (“Voi, non so di dove siete!”). È questo certamente un modo chiaro per dire che bisogna fuggire sempre il peccato di presunzione, di chi appunto presume di salvarsi in virtù dei propri titoli, meriti e diritti, ricorda sì che “la salvezza di Dio è per tutti gli uomini” (Tito 2,12), ma nello stesso tempo che questa non può e non deve essere data per scontata, né tanto meno pretesa, ma bisogna conquistarla con la coerenza di vita evangelica e l’esercizio eroico della carità.

Infine portiamo con noi l’ultima frase del vangelo di oggi: “vi sono ultimi che saranno primi, e primi che saranno ultimi” per ricordarci in particolare che chi si trova ai piedi di una gerarchia sociale, coloro che non hanno goduto delle gioie terrene e sono stati vittime di disprezzo e maltrattamento, alla fine dei tempi godranno dei primi posti una volta giunti in Paradiso, dove tutti indubbiamente saremo giudicati senza disparità e diseguaglianze.