Ecco allora perché oggi la liturgia della Chiesa ci invita a riflettere sul mistero eucaristico come la prova più grande dell’amore di quel Dio che è venuto ad abitare e restare con noi per sempre. Il Vangelo di oggi ancora una volta non si preoccupa di proclamare dogmi di fede, di descrivere verità teologiche, ma si limita a lasciarci un altro racconto che rappresenta il memoriale della Pasqua di Cristo, il suo testamento d’amore, la prova più grande della sua misericordia concessa a tutti. Ecco perché riascoltiamo oggi il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia secondo Marco. L’evangelista inizia con una annotazione temporale: «il primo giorno degli azzimi, quando si immolava la Pasqua». Questa ci offre immediatamente un primo elemento di riflessione. Ci ricorda cioè che l’istituzione dell’Eucaristia avviene nel contesto pasquale. Come tutti gli ebrei, anche Gesù e i suoi discepoli si preparano a celebrare la Pasqua, nella memoria di quell’evento storico impresso da sempre nella mente e nel cuore di tutto il popolo d’Israele, ma adesso in Cristo si compie la definitiva sua e nostra Pasqua. Sarebbe bello commentare tutte le indicazioni precise date dal Maestro per quella Pasqua speciale dei suoi discepoli, che si rivelerà unica in ogni senso. A noi basti sottolineare come Gesù non fa le cose a caso, non improvvisa, ma nei dettagli dimostra la sua attenzione e cura nel realizzare gli eventi salvifici. Sono i particolari che fanno la differenza, recita un vecchio adagio; ebbene sono davvero tutti i particolari indicati dal Vangelo che fanno la differenza tra la vecchia Pasqua ebraica e la nuova Pasqua, quella istituita da Gesù, che costituisce la nuova ed eterna alleanza. A noi cristiani il compito di saper comprendere e vivere il testamento d’amore di Gesù, di comprendere e vivere il senso di una vera e propria alleanza con Dio, che sarà nuova ed eterna, in quanto non più fondata sul sangue di animali sacrificati sopra nuovi altari pagani, ma sul sangue preziosissimo di Gesù, versato sull’altare della croce. «Prendete e mangiate! Prendete e bevete!». Basterebbe cogliere l’importanza di quel verbo volutamente usato da Gesù: prendere. Un verbo che supera di gran lunga quelli incontrati più volte nei Vangeli pasquali: Guardate! Toccate! Gesù non si limita ad offrirci la possibilità solo di vedere e di toccare, ma addirittura ci invita a prendere, affinché noi non ci fermiamo a fare un’esperienza semplicemente sensibile, che coinvolge solo gli occhi e le mani, ma siamo esortati a prendere, a tenere con noi il dono che ci viene offerto. E cosa Gesù ci vuole offrire? Sono doni, regali, cose materiali? Assolutamente no! Dicendo «Prendete il mio corpo! Prendete il mio sangue!», ci sta dicendo: «Prendete tutto me stesso, prendete il mio tempo, la mia forza, le mie capacità! Prendete la mia vita! È per voi! Non cose ma vita! Non qualcosa ma tutto!». E cosa potremmo pretendere di più dal nostro Dio? Noi sempre più affamati e assetati possiamo restare indifferenti davanti al dono inestimabile di questo pane e di questo vino? Possiamo continuare a cercare ciò che perisce e la bevanda che non disseta? Eppure è lì davanti a noi costantemente e quotidianamente offerto e donato per noi nell’Eucaristia. Ma noi non abbiamo occhi per vedere, non abbiamo tatto per toccare e soprattutto non abbiamo mani per prendere in noi la vita stessa del Signore. «Dio ci ha messo il suo corpo tra le mani», sono le parole di un canto eucaristico veramente significativo. Chiediamo oggi in questa odierna festività del Corpus Domini di prendere tra le mani il suo Corpo, di prendere tra le nostre labbra il calice del suo Sangue, di accogliere la sua stessa vita. Sarà per noi, ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia, una Pasqua totalmente nuova, speciale, unica, come lo fu per i discepoli in quella notte in cui Gesù fu tradito.