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L’esperienza del divino rende più umani

Non era una presenza qualunque, ma un figlio, e per giunta il Figlio di Dio! Essendo un unicum nella storia universale, la ‘novità’ che Maria custodisce non è assimilabile ad altre esperienze umane né descrivibile se non balbettando qualcosa ma, osservando ciò che la fanciulla di Nazareth pone in essere, possiamo intuire il mistero che la attraversa. Ella, invece di fermarsi e bearsi di sé per quanto le sta capitando, si mette in viaggio e si lascerà dichiarare beata da un’altra persona; la presenza del divino la rende ancora più umana, poiché Maria regalerà ad Elisabetta e ad ognuno di noi un emblema di ciò che rende la vita pienamente umana: la relazione interpersonale. Il viaggio non è motivato da una ragione esplicita, se non il bisogno di contemplare il segno che l’angelo le ha indicato, la prodigiosa gravidanza della sterile cugina. Chi cerca il divino non si estranea dalla realtà, ma trova fratelli da abbracciare. L’incontro avviene «nella casa di Zaccaria», il sacerdote incredulo, che imparerà nei tre mesi di permanenza di Maria la fecondità del silenzio scelto per lasciarsi parlare unicamente da Dio e non dalle proprie incertezze. Che risonanze aveva il saluto della Vergine tanto da far sussultare il bambino nel grembo di Elisabetta? All’interno di un normale scambio di affetto tra donne in attesa, Dio, che viene in un abbraccio, compie la prima Epifania del Figlio e la prima Pentecoste dello Spirito, perché «Elisabetta fu colmata di Spirito Santo». L’umanità in attesa di una vita riscattata dal male riconosce Colui che compie le promesse di bene donando il suo respiro. È significativo che Luca non parli espressamente della presenza del bambino, ma della voce della madre che determina la reazione di Giovanni, perché colui che sarà la voce del Messia viene catturato dal timbro di voce più somigliante a quello di Gesù. il vaso che contiene il buon profumo di Cristo è intriso della sua fragranza, cosicché ciò che è ancora invisibile viene reso visibile da chi ne custodisce la presenza. Noi viviamo nel tempo in cui il Signore non è visibile ai sensi esteriori ma il battezzato, insieme ai segni sacramentali, è chiamato ad essere la visibilità del Verbo nel mondo. Siamo fedeli a questo compito? Ancora una volta impariamo dal silenzio di Maria che, prima di elevare il suo Magnificat, lascia che la cugina prorompa in tutta la sua confessione di fede. Credo che anche questa sia una indicazione sapienziale per gli evangelizzatori: è necessario bussare, salutare, farsi accogliere e solo dopo raccontare la propria esperienza di Dio, che in tal modo troverà un terreno più disponibile alla sua azione trasformante. C’è un vangelo della vita che precede il vangelo della Parola e, senza il primo, la trascendenza di quest’ultimo verrà scambiata per estraneità alle varie situazioni esistenziali, invece che orientamento alla verità di tutte le cose. Elisabetta proclama Maria come la depositaria delle benedizioni divine e dichiara la propria indegnità dinanzi al dono della presenza del «Signore». È la prima volta che Gesù viene così appellato ed ella spiega che il sussulto è una espressione di gioia. Di solito una madre è felice per il bambino che porta in sé, ma adesso la madre e persino il figlio non ancora nato sono capaci di cogliere una letizia superiore, passando dalla gioia per la vita a quella per la fonte della vita. Non c’è ombra di invidia, ma il riconoscimento sincero della prima beatitudine evangelica che si incarna nella vita di una persona: Maria è beata perché ha avuto fede nella parola del Signore. In questo senso, il bambino che porta dentro di sé l’ha già resa perfetta discepola; è come se iniziasse già da ora l’evangelizzazione che in seguito sarà affidata agli apostoli. Come Maria, tu doni, tu vai, tu lavi i piedi degli altri solo perché i sentimenti di Cristo ora sono i tuoi, solo perché la sua missione è già diventata la tua e tutto questo ti rende felice anche se non potrai mai esaurire il mistero che porti dentro.