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L’Amore ha il volto di ogni uomo

È il problema della vocazione, dello stare al posto giusto, perché è in quello stato di vita e non in un altro che riuscirai ad esprimere un amore più grande. Il dottore della Legge che si avvicina a Gesù per interrogarlo parte dalla priorità della Legge ma viene condotto alla priorità dell’amore. La prima può tracciare il cammino della vita, ma solo il secondo ti dà la forza di percorrerlo e di generare altra vita. L’intento dell’esponente fariseo è «metterlo alla prova», e il Maestro come sempre non si sottrae alla provocazione, ma ne approfitta per esporre compiutamente il suo insegnamento.
«Qual è il grande comandamento»? Non era facile districarsi tra i 613 precetti vigenti, 365 negativi (come i giorni dell’anno, ossia la totalità del tempo) e 248 positivi (come le membra del corpo umano, vale e a dire tutta la vita posta sotto l’osservanza della Legge). La prima parte della risposta di Gesù è una citazione dello Shemà, che poneva l’ascolto come condizione dell’amore. ‘Ascolta, Israele!’ è la preghiera quotidiana del pio Israelita, il quale sa bene che Dio si è rivelato nella Parola, non nell’immagine, e senza un ascolto assiduo di essa non è possibile conoscere la sua volontà. Dall’ascolto alla conoscenza e quindi all’amore. Ma chi e come amare? È qui che emerge il tema della vocazione, perché posso amare anche la natura e dedicare tutta l’esistenza alla difesa degli animali, ma se l’oggetto del mio amore fosse solo questo, non avrei realizzato il mio progetto di vita. Cristo è inequivocabile nella sua risposta: ama Dio e ama il prossimo; tracciato quest’orizzonte in cui cielo e terra si toccano, ogni uomo potrà con libertà e creatività rispondere all’unica chiamata all’amore.
Il discepolo deve volere ed esercitarsi ad amare Dio «con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». Il Deuteronomio pone il verbo amare al futuro: ‘amerai’, ameremo con l’amore che Dio ha riversato nei nostri cuori. Ne saremo capaci perché il nostro cuore, pur essendo piccolo come il pugno della mano, può dilatarsi oltre ogni misura e conformarsi al cuore stesso di Dio. Il testo presenta la scelta di amare come un cammino sempre da perfezionare, che impegna tutte le facoltà della persona: ‘cuore’, come principio di unità, e ‘anima’, come identità sostanziale e storica. Il riferimento alla ‘mente’, non presente nel testo dello Shemà, richiama la dimensione razionale dell’amore, che richiede l’apprendimento della verità per una sua più profonda assimilazione, la conoscenza – diremmo noi oggi – dei problemi ecclesiali e delle sfide della cultura odierna per meglio dialogare col mondo e testimoniarvi la carità cristiana. Quanta gente analfabeta nell’amore, e non per limiti cognitivi, ma per il fatto che applica intelligenza e cuore a cose banali! C’è gente eccezionale nel lavoro ma inetta nell’educazione dei figli!
Occorre dunque nutrirsi della sapienza dell’amore divino, da cui discende l’amore per il prossimo. Quest’ultimo, già presente nel Levitico, è il criterio di verità dell’amore per il Signore, come attestano le lettere di Paolo e Giovanni. Per quale ragione chi ha problemi col prossimo in fondo ha ‘problemi’ anche con Dio? Perché mostra di non aver colto lo spirito della missione di Gesù, che ha sempre difeso e promosso l’uomo in tutte le condizioni di vita; inoltre è ancora legato a un amore autoreferenziale, che risulta ben disposto verso l’altro fino a quando riceve un qualche appagamento, mentre la carità autentica implica un completo svuotamento di sé per cercare la gioia nel rendere felici gli altri.
Abbiamo bisogno di fratelli che ci amino e da amare, e insieme a loro amare Te. Tu, o Creatore, hai voluto donarci un amore creaturale, alla nostra portata, per non sentirci schiacciati da un amore perfetto come il tuo. Sì, l’amore può anche farti paura, specialmente quando ti senti distante da esso a causa della tua piccolezza e del tuo peccato. Donandoci tanti volti umani dell’amore, Dio ci ha dato la gioia di camminare in cordata verso di Lui, fonte dell’amore: la meta non è più irraggiungibile, perché insieme agli altri la strada è meno impervia e possiamo sostenerci a vicenda.