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Istintivamente, e benevolmente possiamo rispondere: “Dio è amore”. Se questa risposta per l’uomo biblico ha un preciso significato legato a una storia, quella tra Dio e l’umanità, per l’uomo contemporaneo, lontano da questa storia, può portare a un non senso. La tentazione, infatti, è quella di definire l’amore secondo parametri umani, e per questo relativi, e voler ingabbiare Dio in questi criteri, definendole di volta in volta in conformità a situazioni, culture e desideri, facendo diventare Dio una nostra creatura che dipende dalla nostra esperienza. Ci viene offerta una possibilità di ribaltare la definizione e il cammino esperienziale se iniziamo a dire: “L’amore è Dio”, l’opportunità di sperimentare l’amore a partire da Dio e da come Lui si è rivelato e l’ha rivelato. L’obiezione che può nascere è quella della non conoscenza di Dio e quindi non esperienza dell’amore, ma quest’obiezione crea lo spazio alla testimonianza del cristiano, che ha sperimentato l’amore di Dio e ha la capacità di trasmetterlo.
Se consideriamo che l’esperienza faccia parte della storia e lo strumento privilegiato della storia e della sua trasmissione è l’uomo, ci viene a mancare un anello della catena: quello tra Dio e l’uomo, tra Dio e la storia. “Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4-5) e l’uomo ha potuto sperimentare che cos’è la figliolanza divina, che cos’è l’amore. I vangeli ci raccontano quest’amore, Gesù lo dona e lo propone come via alla felicità: al dottore della legge che chiede cosa deve fare per avere la vita eterna, ricorda il comandamento dell’amore e per non restare nel vago lo rende concreto con la parabola del “Buon Samaritano” (Cfr. Lc 10,25-37); al giovane ricco che si pone davanti al maestro con lo stesso desiderio e la stessa disponibilità, lo dona come frutto dell’unica bontà di Dio e lo invita ad accoglierlo nella sequela (Cfr. Mc 10,17-22; Mt 22,16-22).
Gesù non parla del comandamento come un elemento esterno alla sua persona e alla sua vita, ma come qualcosa che fa parte della sua identità, della sua relazione con il Padre e della sua relazione con i suoi discepoli, ne parla per aiutare i discepoli a sperimentarlo nel momento in cui rivela ne l’essenza e lo dona totalmente: l’ora della croce. Gesù ha annunciato questo momento e nel vangelo di Giovanni l’ha preparato attraverso la lavanda dei piedi, questo gesto ha la funzione di far capire che il servizio (sacrificio) crea l’unione: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”; e attraverso la comunione rende capaci di seguire l’esempio: “Vi ho dato l’esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. Se farete questo sarete beati.”.
Nel momento in cui dichiara il tradimento di Giuda e il traditore esce, il Figlio dell’Uomo viene glorificato, e Dio è glorificato in lui, in questo momento Gesù compie fino alla fine l’opera che il Padre gli ha affidato. La glorificazione di Gesù culmina con la sua dipartita, cioè con la sua morte, ancora per poco sono con voi. In questo “poco” lascia il nuovo comandamento: “Che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli atri.”. Questo nuovo comandamento richiede un’osservazione, l’amore consegnato ai discepoli non è soggettivo, legato alla singola persona come capacità o volontà, ma ha una “misura”, un esempio, ed è l’amore che Gesù dona fino alla fine: “Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1).
Quello che nei sinottici, attraverso il comandamento dell’amore, è accennato, qui viene mostrato. Amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza e con tutta la mente significa compiere la volontà di Dio; amare il prossimo come se stessi significa amare come Gesù ha amato. Ma quest’amore è possibile all’uomo? Sì se come Pietro saremo capaci di farci lavare i piedi da Gesù, ma soprattutto come Simone ci ricorderemo che prima di dare la vita per gli altri, anche per Gesù, è necessario lasciare che Gesù dia la vita per noi: «Simon Pietro gli disse: “Signore dove vai?” gli rispose Gesù “Dove vado tu ora, non mi puoi seguire, mi seguirai più tardi”. Pietro disse: “Perché non posso seguirti ora?” Darò la vita per te!”». Quest’amore è possibile perché la nostra vita è legata a quella di Gesù come sintetizza ben la prima lettera di Giovanni (Cfr. 1Gv 4,7-10).