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L’amore accogliente di Gesù, solo a lui posso dire tutto

Gesù parla ai suoi discepoli

A volte è così ossessivo il bisogno di sapere che ‘stiamo andando bene’, da non preoccuparci se effettivamente è così; basta che qualcuno ci rincuori con parole rassicuranti e ogni problema è risolto.
E invece le cose non stanno in questo modo. Gesù non ha paura di ‘disturbarci’, svegliandoci dal torpore della mente che ci fa rimanere inerti; non teme di perdere la «folla numerosa» che lo circonda; «si voltò» per parlare al cuore di quella gente, perché è nel cuore che si decide chi amare e come amare.
Tutti sperimentiamo come i legami di sangue siano indispensabili in ogni stagione della vita, e anche in un tempo odierno, banalmente giudicato come privo di valori, i ragazzi a scuola pongono la famiglia in cima alla loro ‘scala della felicità’. Eppure Gesù dice chiaramente che c’è un «più» di amore da riservare alla sua persona.
Sorge subito un’obiezione: come faccio ad amare di più uno che non vedo, mentre vedo ogni giorno mia madre che dà la vita per me, la mia sposa che non mi abbandona nella cattiva sorte, i miei figli che, nonostante la ribellione dell’età, comprendono i miei sforzi di padre? È qui che si affina lo sguardo della fede, che ti permette di cogliere l’invisibile. Anzitutto esso è un dono dello Spirito, e ce ne accorgiamo quando notiamo che qualcuno matura un amore per il Signore in maniera così spontanea e pura da stupirci; poi si tratta di uno sguardo ‘inclusivo’, grazie al quale capisci che chi ti ama, anche se non lo sa, è mosso da Dio, Amore unico e multiforme insieme. Per capirne di più, ho posto la stessa domanda a mia madre, la quale mi ha risposto che il ‘di più’ sta nel fatto che a Dio puoi dire tutto e ‘fare’ tutto senza mai dubitare del suo amore, mentre a volte con i familiari si generano conflitti che provocano reciproche chiusure.
Se è vero che a Dio possiamo dire tutto, è importante che ci lasciamo dire tutto da Lui, affinché la relazione sia vera e ci trasformi in discepoli, se è questo che desideriamo.
E la parola del Maestro è proprio ‘di più’, anzi ‘tutto’ amore per Gesù. Dobbiamo saperlo noi e dobbiamo spiegarlo a coloro che ci stanno accanto, perché non siano proprio le persone che ci vogliono bene ad ostacolare con un amore malato le nostre scelte verso la pienezza dell’adesione a Cristo. Il primato di Dio nella vita si compie poi portando la propria croce, ossia continuando a seguire il Signore quando sarebbe più facile fermarsi o cambiare direzione.
Ci sono dei momenti in cui il peso della vita può apparire insostenibile; vorresti allora cercare solo disfarti di quella croce e cercare qualche soddisfazione umana, anche solo per anestetizzare il dolore. Tuttavia il problema così non lo risolvi, lo sposti semplicemente più avanti e si ripresenterà più consistente di prima perché alimentato dall’incuria. Meglio invece, per quanto difficile, portare innanzi la croce, che Gesù ha trasformato da strumento di supplizio in segno di amore fino alla fine. Il calcolo del costruttore e del re, se intraprendere o no l’impresa che hanno in mente, deve diventare il calcolo del discepolo, se vale la pena o no affidarsi a uno che è risultato sconfitto, ma di cui è certa la vittoria finale.
La sapienza del seguace di Cristo è la ricerca dei modi per portare a compimento il cammino dietro al Maestro, rafforzarsi nella fedeltà, resistere agli assalti del Maligno. Le soste ammissibili sono quelle della preghiera, che permette di ricevere il respiro nuovo dello Spirito, e del discernimento, che scandisce i tempi e le modalità della sequela.
Fatto ciò, per il discepolo è necessario continuare il cammino, rinunciando «a tutti i suoi averi», perché l’unica cosa che realmente possiede è l’appartenenza a Cristo. Che bello vedere una persona totalmente donata al Signore! Te ne accorgi dall’amore gratuito con cui illumina tutto ciò che dice e fa, lei a cui Dio può dire e fare tutto, felice di essere amata dal Signore, desiderosa di mettersi al suo servizio perché i fratelli conoscano e vivano l’Amore.