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L’acqua del Giordano, il dono dello Spirito

Battesimo di Gesù al Giordano

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Tra i tanti generi letterari a cui è stato associato il vangelo di Marco qualcuno ha pensato anche al dramma, questa associazione ci permette di considerare la parte in cui è inserita la nostra pericope come il prologo di tale dramma e individuare nel Battista il cosiddetto “Prologos”, cioè una specie di banditore che entra in scena prima dell’inizio del dramma per stabilire il contatto con il pubblico (nel nostro caso il lettore, destinatario dello scritto) in nome dell’autore.
Le sue parole, le prime del vangelo pronunciate da un personaggio, manifestano l’intenzione dell’autore di dare al lettore la sintesi e il programma di quello che vuole presentare, creano altresì nel lettore una tensione basata sull’identità di Gesù, che in questo primo momento viene solo affermata lasciando al futuro del testo il compito di dimostralo. “Io vi ho immersi in acqua, ma egli vi immergerà in Spirito Santo”, udendo questo l’ascoltatore, oggi come allora, sa concretamente cosa significa essere immersi in acqua, ma si chiede, cosa significhi “essere immersi in Spirito Santo”, le parole sulla bocca del banditore rappresentano l’invito a proseguire nella lettura dell’intero vangelo perché solo così si potrà capire il significato di questa indicazione, nelle parole, nelle azioni e nell’identità stessa di Gesù.
I versetti successivi a questa dichiarazione programmatica non fanno altro che iniziare a raccontare ciò, stabilendo fin dall’inizio una connessione tra l’azione di Giovanni e quella di Gesù, il cui punto d’incontro è la persona stessa di Gesù che viene immersa nelle acque del Giordano e subito dopo riceve, quasi come unico “contenitore” adatto il dono dello Spirito e il compiacimento del Padre, nell’attesa che questo dono possa essere riversato in coloro che il sangue e l’acqua lavando renderanno capaci.
Si crea così tra l’azione visibile e la parola un legame di cui dobbiamo tenere conto, sia che la parola venga esplicitata attraverso l’annuncio o il testo scritto di Marco sia che la parola venga profetizzata da Isaia. Il profeta gioca sulla parola di Dio e sul suo effetto non solo a livello stilistico ma anche esistenziale, anzi attraverso l’artificio stilistico raggiunge e provoca effetto nella realtà umana, al popolo assetato dalla schiavitù Dio offre un’acqua che non deve essere bevuta ma ascoltata, un’acqua che diventa promessa di alleanza, un principe che è diventato vicino e quindi si può trovare e invocare, l’atteso immerso nell’acqua è rivelato Figlio. Ora al Figlio si può chiedere: “dammi quest’acqua”, perché chi beve dell’acqua che dà lui non avrà più sete, ma diventa sorgente che zampilla per la vita eterna (cfr. Gv 4,13-15), acqua per purificare e rivelare ogni cosa, i segreti dell’uomo e quelli di Dio.
Ora il pensiero che sovrastava i nostri pensieri ha aperto i cieli e in Cristo è sceso sulla terra per noi, per compiere ciò per cui è stato mandato, per trasformare i nostri pensieri e dare a noi il pensiero di Cristo (Cfr. I Cor 2,10-16). Ora al seminatore è stato dato il seme perché la semina produca il trenta il sessanta e il cento, la parola susciti l’ascolto e dall’ascolto nasca la fede, perché possiamo credere alle parole del Padre che Gesù è il suo Figlio e credendo possiamo vincere il mondo.