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Domani inizia la Settimana in cui Dio ci rivela il suo amore

Entrambe le settimane possono considerarsi come due creazioni, pensate e realizzate da Dio per dare esistenza, energia e vita. Entrambe, come indica la simbologia del numero sette, ci ricordano la pienezza del tempo, ossia il totale e completo mistero di un Dio che è esclusivamente amore che dona e salva la vita. Il Vangelo inizia con le parole «Passione di nostro Signore Gesù Cristo», quest’anno secondo la versione di Luca, che non si risparmia in particolari interessanti che rendono il racconto quanto mai coinvolgente, capace di offrire quadri suggestivi di un percorso tutto in salita e doloroso, ma nello stesso tempo illuminato da un’intensa luce, nonostante essa si sprigioni da un avvenimento estremamente tragico e drammatico. L’ideale sarebbe riprendere nei prossimi giorni di questa “santa” settimana il testo lucano per rileggerlo personalmente e lasciarsi pervadere dalla grande lezione d’amore lasciataci da Gesù, che si volle consegnare e abbandonare totalmente nelle mani dei suoi carnefici per ottenere a ciascuno di noi la salvezza e la pace. Del lungo racconto della passione non ci sfugga il senso profondo, che si può racchiudere nella famosa espressione: «Non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici». Gesù l’ha detto e l’ha fatto, vincendo fino alla fine la grande e costante tentazione di far prevalere il proprio io, per far spazio a Dio e alla sua volontà e potenza salvifica, nella speranza che noi cristiani potessimo seguirne le orme. La domenica delle Palme si caratterizza poi per la tradizionale solenne processione liturgica che ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Il popolo di Dio e i suoi pastori rievocano quella scena nella quale Gesù viene accolto trionfalmente nella città santa tra le acclamazioni del popolo in festa. Anche noi oggi, come il popolo d’Israele, siamo chiamati a inneggiare festanti il Figlio di David cantando con la voce e con il cuore «Osanna all’Altissimo» e a recare tra le mani fronde di ramoscelli di ulivo e di palme. I due simboli acquistano quest’anno un valore simbolico più forte e significativo, poiché non possiamo non ricordare i tanti fratelli che in questo periodo vivono la barbarie di una guerra ingiusta e vergognosa. Ma che senso ha innalzare al cielo palme e ramoscelli di ulivo mentre venti di guerra spirano sempre più minacciosi dall’Est, dove si innalzano fucili e armi mortali? La liturgia ci ricorda che le palme sono il segno del martirio, dell’effusione cioè del sangue di coloro che come Cristo hanno dato la vita per la verità e la salvezza dei fratelli, mentre l’ulivo è segno della pace, bene di inestimabile valore, ogni giorno sempre più minacciato e vacillante. Il pensiero va oggi a chi la Via Crucis la fa non seguendo il suo bel libricino illustrato, ma vivendola nella propria carne. E il pensiero si fa preghiera per le lacrime versate da tantissime donne ucraine, che come quelle di Gerusalemme piangono sui propri figli costretti a lasciare case, famiglie e lavori e imbracciare le armi e sparare ad altri fratelli, anch’essi a loro volta costretti dal loro regime a scendere in battaglia per una guerra che riguarda i ricchi, ma che come sempre distrugge la povera gente. Si levi forte da ogni angolo della terra, oggi in modo particolare, il grido per la giustizia e per la pace nel mondo e impegniamoci affinché i simboli che portiamo tra le mani «non diventino per noi giudizio di condanna», ma ricordino l’impegno di essere sempre e comunque artefici di pace sull’esempio di Gesù, che ha vinto la guerra contro il male e il peccato donando la sua vita, e ha conquistato la pace non con l’odio, la violenza e la vendetta, ma con l’amore, il perdono e la misericordia.